giovedì 3 novembre 2011

Veronica Sbergia and the Red Wine Serenaders - S/T

(Pubblicato su Rootshighway)

Ci sono dischi in grado di trascendere luoghi fisici e spazi temporali. E questo è proprio quanto accade dopo aver inserito il dischetto in questione nel lettore e aver premuto il tasto play. Si viene catapultati nell'America dei primi decenni del secolo scorso, dove spopolavano il ragtime, lo swing e facevano la loro comparsa le prime jug band. Un suono figlio di quella tradizione musicale, ormai dai più seppellita nei meandri più reconditi della memoria, ma ancora viva e pulsante. Visto il sound è logico pensare immediatamente a un gruppo di musicisti americani, anzi afroamericani, volti a reinterpretare la tradizione medesima. Niente di più sbagliato, perchè i musicisti in questione sono italianissimi. Arriva infatti dalla Lombardia Veronica Sbergia, e per questa sua seconda opera discografica si fa accompagnare dai fidi Red Wine Serenaders, anch'essi italiani oltre che musicisti di grande caratura. I nostri si divertono a giocare con la tradizione musicale afroamericana , mostrando allo stesso tempo grande rispetto e passione per la materia in questione. Strumenti inusuali come ukulele, washboard e kazoo colorano ulteriormente la miscela sonora del gruppo, che trova nella dimensione acustica la propria ragione d'essere. Su tutto si staglia la splendida ed espressiva voce di Veronica Sbergia, vero punto di forza dell'intero lavoro. Virtuosa dell'ukulele, Veronica percuote con maestria anche la washboard, e grazie all'utilizzo di una spazzola per capelli riesce ad estrarne sonorità innovative. Nelle file dei Red Wine Serenaders spiccano senza dubbio Max De Bernardi e Mauro Ferrarese, autentici maestri degli strumenti a corde; il primo alla chitarra resofonica, all'ukulele e al mandolino; mentre il secondo anch'egli impegnato alla chitarra resofonica. Ideale suggello è Alessandra Ceccala, al contrabbasso e ai cori, in grado di dare ulteriore spinta ritmica al gruppo. Un viaggio musicale tra rarefatti e arcaici blues (Busy Bootin, Doggone My Soul, Lovesick Blues) e coinvolgenti swing e ragtimes (You Drink too Much, Mr Ambulance Man). You may leave (but this will bring you back) è invece una trascinante folk song condotta da washboard e kazoo, il tutto coadiuvato da un sapiente uso delle voci. Difficile poi rimanere impassibili di fronte alla bellezza di brani come Lullaby of the Leaves, splendida ballata con l'ukulele protagonista; Nobody Knows but Me, old time blues come non se ne sentivano da tempo e You Must come in at the Door a mio avviso la migliore del lotto, splendido brano corale di stampo gospel, con un ottimo lavoro di chitarra slide ben supportata dalla washboard. Vera chicca è infine la bonus track: Good Old Wagon, per solo piano e voce, semplicemente da brividi. Un disco vissuto, che parla di storie intrise di amore, sangue e sudore e lo fa con perizia tecnica e un alto tasso emotivo. Un plauso va quindi a Veronica Sbergia e ai suoi fidi Red Wine Serenaders, fautori di un'opera dalla bellezza cristallina.

                            

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