giovedì 3 novembre 2011

Darryl Lee Rush - S/T

(Pubblicato su Rootshighway)

Terza prova discografica per Darryl Lee Rush, dopo il buon esordio Llano Avenue del 2005, e la testimonianza dal vivo, targata 2008, di Live at the River Road Ice House. Nato e cresciuto a Markham, piccola cittadina nel cuore del Texas, Darryl in passato ha girovagato in lungo e in largo per il Lone Star State, collaborando a diversi progetti, per poi stabilirsi definitivamente ad Austin, dove ha avuto inizio la sua carriera come solista. Fin dagli esordi a proprio nome, ha sempre attinto per i suoi testi e per la sua musica dai paesaggi e dalle vicende umane dei luoghi in cui ha vissuto. Canzoni che raccontano, quindi, un Texas nascosto ai più, nel quale storie e paesaggi sono legati in modo indissolubile tra loro. Storie che ci vengono raccontate attraverso un impianto strumentale semplice ma di sicuro effetto, che vede nel country venato di rock il suo elemento preponderante, con alcune influenze mexican, che fanno capolino in più di un'occasione. Un disco ben scritto e ben suonato, che vede il nostro affiancato da una band rodata e d'esperienza, con l'aggiunta di qualche ospite di "lusso", a rendere ancora più accattivante il tutto.
Apertura in grande stile con Hard Rain, country rock, in salsa jingle jangle, dal sicuro appeal radiofonico, dove alla chitarra acustica del leader ben si amalgamano la chitarra elettrica di Scott Oldner e la pedal steel di Tommy Detamore. Atmosfere più rarefatte per Broken Glass, tenue ballata folk dall'afflato country, con l'espressiva voce di Rush ben supportata dal tappeto sonoro ad opera ancora della pedal steel. Letter from a Soldier è, senza ombra di dubbio, a livello di liricità il punto più alto dell'intero lavoro, con Rush che canta con il cuore in mano la propria rabbia e il proprio dolore. Onirica è la deliziosa Leaving Virginia, quasi sussurrata dal nostro, questa volta con la steel acustica di Detamore sugli scudi, screziata dagli interventi dell'armonica di Don Gallia. Dall'incalzante ritmo country è invece Dance Hall, con un ritornello che definire azzeccato sarebbe riduttivo, in cui fanno la loro comparsa anche un violino e un piano in puro honky tonk style. Las Vegas Christmas Eve parte quasi in sordina, per poi crescere poco a poco grazie anche all'ottimo lavoro alla chitarra elettrica di Oldner. Jackson Hole esplora nuovamente il lato più intimista della musica di Rush, e vede una breve incursione all'accordion di Joel Guzman.
Travolgente invece è Raindrop, con la pedal steel di Detamore a fare il buono e il cattivo tempo, per una country song ben esplicativa dello stile del nostro. Vera gemma acustica è Marissa, ancora con gli splendidi interventi dell'accordion di Guzman, per un brano che sembra arrivare direttamente dal repertorio di Joe Ely, e a parere del sottoscritto si aggiudica sicuramente la palma di migliore del lotto. Il rock ritorna prepotentemente alla carica nell'elettrica Burn it Down e nella conclusiva Ferris Wheel, per due brani che nelle esibizioni dal vivo troveranno sicuramente la loro ideale valvola di sfogo. Darryl Lee Rush si conferma, con questa sua seconda opera solista, una volta di più un songwriter di razza, capace di maneggiare con mestiere country, folk e rock, in una formula sonora accattivante e di grande suggestione.

                              

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