giovedì 3 novembre 2011

Neil Getz - Factory second

(Pubblicato su Rootshighway)

Arriva dalla Florida Neil Getz e questo Factory second rappresenta il suo primo vagito discografico. Un album eterogeneo, composto da undici episodi a se stanti; undici piccoli mondi, nei quali si dipanano le vicende dei più diversi personaggi; il tutto supportato da un impianto strumentale assai variegato. Il nostro sa infatti miscelare, spesso con sapienza, i generi più disparati. Americana, country, folk e qualche strizzatina al rock: sono questi gli ingredienti alla base del piatto cucinato dal buon Getz. Un piatto che a seconda degli episodi ha il sapore forte e deciso della cucina cajun o di un hamburger alla griglia, mentre in altri ci troviamo di fronte ad una minestra riscaldata e spesso annacquata. Diciamo subito che il nostro è comunque un buon autore e possiede una voce forse non eccelsa ma di sicuro particolare e che ben si amalgama alle alchimie sonore dei brani. Decisamente radio friendly è l'opener Bad case of passion, dotata di un buon refrain e di un ritmo accattivante. Con la title track il nostro comincia a mostrare il suo talento compositivo, in un'intensa folk ballad di matrice prettamente acustica, impreziosita dall'arrangiamento d'archi ad opera di Chris Carmichael. Un'armonica molto "popperiana" (John Popper, leadei dei Blues Traveler) è invece protagonista in Come on, Ely, in grado di catturare fin dal primo ascolto. Heart so steady riesce a coniugare in maniera egregia elementi cari al country ad un impianto strumentale tipico delle folk song di stampo più modernista. Country sempre presente, ma in modo più netto, nella successiva e convincente Not in love, just falling, con le chitarre sugli scudi. Sa decisamente di già sentito Jenny Lee, che nonostante qualche buona idea di base, non riesce a decollare. Il rock irrompe all'improvviso in Oh Delilah, un brano interlocutorio, senza capo ne coda, capace solamente di lasciarci con l'amaro in bocca una volta giunto alla conclusione.
Di ben altra caratura sono le acustiche Counting trains e la conclusiva Nelly Blye. La prima tratta tematiche sociali di grande attualità, come la depressione adolescenziale, e trova nella commistione tra acustico ed elettrico la sua ragion d'essere, con il violoncello di Carmichael a suggellare il tutto. Quest'ultimo torna protagonista anche in Nelly Blye, adornando con il suo violino quella che a mio avviso è l'apice emozionale dell'intero lavoro. Violino che ha anche il compito di colorare di cajun la solare Penny Candy, ben coadiuvata dalla fisarmonica suonata dallo stesso Getz. Country venato di blues, infine, in Flock of Demons, che parte quasi in sordina per poi esplodere nel finale, in un'orgia strumentale tra banjo, violino e chitarra slide. Un esordio con poca infamia e qualche lode quindi, che risente forse di un songwriting in alcuni episodi ancora acerbo ma che ci lascia ben sperare per il futuro.

                           

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