sabato 25 maggio 2013

Balzi del Mulo - Scintille

(Pubblicato su Extra! Music Magazine)

“La teoria che i reading si debbano fondere necessariamente con il rock’n’roll è una stronzata gigantesca” sentenziava il mai troppo rimpianto Jim Carroll. Un “insegnamento” che i Balzi del Mulo hanno fatto loro, perlomeno a giudicare da quanto contenuto tra i solchi di Scintille. Un progetto musico-letterario con il quale i nostri rivestono di un setoso abito musicale, dalle scarne ed acustiche trame folk (bandendo al contempo dai propri pentagrammi debordanti sonorità rockiste), una selezione di poesie, facenti capo all’opera omonima, frutto della vivida penna di Massimo Ocera. Quest’ultimo, oltre a fornire la “materia prima” di stampo letterario, è anche artefice, con la propria sei corde acustica, di architetture sonore dall’esile fascinazione, indissolubilmente intrecciate intorno all’istrionica e teatrale vocalità di Simone Garza. Ad essi si affianca infine Andrea Calegaro, abile nel dividersi tra percussioni e violino. Proprio lo ieratico scorrere dell’archetto sprigiona ulteriore incanto folkie, creando un amalgama sonico che non si riduce al ruolo di mero accompagnamento, ma diviene bensì un pittoresco tappeto musicale, la cui fusione con la poeticità testuale di Ocera si cristallizza in una sorta di “spoken song” di minimalistica bellezza. Ne sono esempi il dolce pizzicare delle corde della chitarra e del violino in Pomeridiana, così come Marinai Agitati, emblematica di cotanto connubio musico-testuale, nella quale è ancora la chitarra acustica a far da guida al violino e ad un lento declamare vocale, in un procedere quasi a braccetto, come a volersi sorreggere a vicenda. Folk che ritroviamo pregno di bucolica malinconia in Nella Pioggia e Nel Camino, prima di sporcarsi di tinte bluesy in Esagerati, dove il lavorio ritmico di Ocera trova il proprio ideale contrappunto solistico nella chitarra acustica di Amerigo Lancini. In Compiti ed Aggiornamenti fa la sua comparsa invece la carezzevole voce di Francesca Scalari, in un riuscito duetto con il carismatico recitare di Garza. Anche negli episodi di più marcato incedere il trio procede sicuro dei propri mezzi espressivi, come nell’iniziale Prima di Reutlingen, con il contrabbasso di Ennio Pedercini a porre ulteriori accenti ritmici. Un’opera, quella approntata dai Balzi del Mulo, che, pur mantenendo intatta anche su album la propria forza vitale, merita, a mio avviso, di essere apprezzata nella dimensione ad essa più consona, ovvero le assi di un palcoscenico, magari di un piccolo ed intimo teatro. Balzi, vortici, tempeste, e dolci ritorni a casa, questo è ciò che vi è racchiuso in Scintille, per un viaggio da farsi a mente dannatamente sgombra.

mercoledì 22 maggio 2013

Flowers - Monna Lisa Store

(Pubblicato su Extra! Music Magazine)

Il brit pop, terreno musicale con un apice di fertilità raggiunto nella metà degli anni ‘90, pare ancor oggi essere foriero di nuove messi soniche. Dai solchi di quest’ultimo, infatti, protendono al sole i propri petali i “Fiori” emiliani, irrorati nella loro crescita da abbondanti innaffiature di Oasis e Supergrass, ed oggi, con Monna Lisa Store, pronti a sbocciare definitivamente. Il trio dimostra senza dubbio di aver tratto giovamento dall’apporto nutritivo dell’humus nel quale è cresciuto, filtrando melodie british con una galvanizzante attitudine al limite del punk. E se le qualità musicali dei nostri sono d’ineccepibile concretezza, a colpire in particolar modo è la voce di Alessandro Silvotti perfetta, nella sua somiglianza con quella di John Lawler degli scozzesi Fratellis, per l’impasto sonoro qui proposto. Esula tuttavia, dal mood generale dell’album, l’opener   Country Shop, che la sei corde elettrica dell’ospite Andy MacFarlane, devia verso l’altra sponda dell’Oceano, in un roboante rockabilly, ahinoi rovinato nel finale da un irritante scimmiottamento degli “urletti” dello scomparso Jacko. Si attestano invece su di coordinate più smaccatamente brit tanto l’ibrida ballata Heart Of Life, tra morbidezza acustica e stridenti sventagliate elettriche, con all’interno un richiamo ad un passo del De Profundis wildiano, quanto una Let Me figlia, per struttura e soluzioni melodiche, della lezione impartita dai fratelli Gallagher. Fantasmi sonori dei primi Jet si avvertono invece tanto nella schiettezza di It’s Gonna Be All Right, con l’hammond di Paolo “Apollo” Negri a dispensare liquidi fraseggi, quanto nella rabbiosa elettricità di Free My Mind. Si affievoliscono in parte i toni nell’effervescente ariosità di Four In A Row, dalle parti del post britpop targato Starsailor, così come nella conclusiva For Anytime, tra fervori indie rock e scalpitanti reminescenze country. Un “negozio d’arte musicale”, quello aperto dagli emiliani Flowers, al cui interno gli amanti delle suddette sonorità troveranno di che gioire, ma nel quale si avverte purtroppo la mancanza di un vero e proprio capolavoro d’originalità creativa, frutto di pennellate dai luminescenti e personali colori sonici, mentre vi è un’abbondanza di falsi d’autore, i quali, seppur di buona fattura, rimangono tuttavia delle pedisseque copie delle tele soniche di ben più blasonati predecessori.

venerdì 17 maggio 2013

Massimo Zamboni e Angela Baraldi - Un'infinita compressione precede lo scoppio

(Pubblicato su Extra! Music Magazine)

“Nomi e cognomi, niente sigle. Siamo noi: sogni, visioni, pensieri, istinti, voglie, paure, arrabbiature e la loro trasformazione in canzoni e suoni, testi, immagini”; quali se non le parole dello stesso autore possono descrivere al meglio Un’infinita compressione precede lo scoppio, nuovo parto discografico di Massimo Zamboni? Un album che vede il chitarrista emiliano nuovamente affiancato dalla propria conterranea Angela Baraldi, a rinsaldare ulteriormente un sodalizio nato e sviluppatosi sui palchi italiani, prima con il fortunato tour Solo una terapia - Dai CCCP all’estinzione, al quale hanno fatto seguito, la scorsa estate, i tre concerti sotto il nome di 30 anni di Ortodossia. Esperienza on stage trasposta oggi tra le quattro mura di uno studio di registrazione, in un’empatica collaborazione artistica dalla quale traspaiono i fantasmi del passato musicale di Zamboni, a cominciare dalla sua precedente partnership femminile, dove protagonista era la meravigliosa vocalità di Nada. In un ipotetico confronto con quest’ultima non pare tuttavia sfigurare Angela Baraldi, la cui voce rifulge per potenza evocativa e bellezza espressiva, tra enfatici scampoli di pura recitazione, sublimi vocalizzi e rabbiose grida, in un’ulteriore valorizzazione emozionale delle liriche zamboniane. In una dedica all’Italia, “che s’inclina, s’inciampa, s’incaglia”, quest’ultimo appronta infatti undici composizioni dalla consueta, proverbiale, furia testuale, acuita dall’addensarsi, sullo sfondo, di nere nubi soniche, sprigionanti elettriche folgori, a squarciare il livore di un grigio cielo di plumbea insofferenza. E se l’inizio è quasi in sordina, con la salmodiante dichiarazione d’intenti di Vorremmo esserci, nella quale la voce della Baraldi diviene ideale contrappunto di quella del proprio partner artistico, nella ballata notturna Nel cuore della notte, regala invece, su di un cupo battere dei tasti del pianoforte, attimi di palpitante poesia. Dalla rabbia declamatoria di Lamenti affiorano, vuoi per la presenza al basso dell’ex compagno “consortile” Gianni Maroccolo, echi delle precedenti scorribande soniche zamboniane, così come in Fallimentare, dove fa la sua comparsa, alle backing vocals, un altro sodale dei bei tempi andati, Giorgio Canali. Trasudano invece virulenti bagliori elettrici tanto l’antiamericanismo reiterato di Sbrai, quanto la litania tribale di Fine, con l’ottimo lavorio ritmico del basso di Cristiano Roversi e della batteria di Simone Filippi, per giungere infine alla spietata fotografia sociopolitica del Bel Paese di In rotta. Elettricità che si stempera tuttavia in avviluppanti atmosfere elettroniche tanto in Parlare non toccare, dalle dilatate aperture melodiche, quanto nella magnificenza di Protezione in negativo, con la voce della Baraldi e la chitarra di Zamboni, nel finale, a rincorrersi prima di confluire in un’affascinante infrangersi armonico; fino al parossismo della conclusiva Ad ora incerta, tra immaginifiche costruzioni sonore ad opera della sei corde elettrica, all’interno delle quali la voce si tramuta quasi in un flebile sussurro. Due individualità, quelle dei cointestatari del lavoro, capaci di fondere le proprie peculiarità soniche in un suggestivo “esistenzialismo elettrico”, nell’attesa che, dopo un’infinita compressione ed al suo conseguente scoppio, si giunga ad una nuova espansione, un nuovo ordine.

giovedì 9 maggio 2013

Perturbazione - Musica X

(Pubblicato su Extra! Music Magazine)

Forgiare una musica indeterminata, lontana da ogni genere di etichettamento, libera di fluire senza costrizioni di sorta, siano esse dettate da formule sonore precostituite quanto dal proprio passato sonico; questi gli intenti alla base di Musica X, sesto album a nome Perturbazione. Un’opera, la cui indeterminatezza è rimarcata dalla stessa X contenuta nel titolo, che con i suoi 35 minuti, è l’antitesi, perlomeno a livello di durata, del precedente, doppio, Del nostro tempo rubato. Una brevità che tuttavia giova all’economia generale del disco, dando modo al combo rivolese di focalizzare al meglio i propri desideri di sperimentazione, tanto a livello di programmazione elettronica, quanto ritmici e melodici. Per riuscire in quest’ambizioso intento, Cerasuolo e compagni si affidano alle sapienti mani di Max Casacci, il cui apporto in cabina di regia risulta essere fondamentale nell’indirizzare i nostri verso inedite soluzioni soniche. Un giocare con la materia pop, intorno alla quale vengono plasmate mai invasive trame elettroniche, che è sintomatico di una crescita, album dopo album, non solo anagrafica ma anche artistica. Proprio il raggiungimento dell’età adulta, della maturità è uno dei temi intorno al quale si dipana un tessuto lirico ironico e tagliente, con tuttavia un ben marcato fil rouge narrativo basato sulla vita di coppia, dalla manutenzione della stessa fino al suo scoppio. Un eclettismo lirico e musicale che si estende anche al carnet di ospiti presenti, quanto mai variegato; a cominciare da I Cani, nell’incedere quasi marziale di Questa è Sparta, passando per la fascinazione vocale di Erica Mou nell’esplicitazione sessuale di Ossexione, fino al duetto “generazionale” tra Cerasuolo e Luca Carboni ne I baci vietati, tanto improbabile sulla carta quanto riuscito a livello di resa sonora, tanto da guadagnarsi la palma di uno tra i migliori episodi del lotto. Dieci i brani presenti, in una continua reiterazione di quella X che ci accompagna fin dall’inizio della recensione; dieci fondamentali episodi di un unicum sonico, da assaporare nella sua interezza per apprezzare appieno il certosino lavoro musico-testuale che gli ha dato vita pentagrammatica. Musica X è il figlio primogenito di una nuova “complessità pop”, capace di sintetizzare nel breve spazio di un’opera i più disparati elementi; ma al contempo anche il nipote di quella mobilità e disinvoltura, esplicate in tempi non sospetti da Italo Calvino, caratterizzanti la rapidità di stile; ovvero quelle qualità che s’accordano con una scrittura pronta alle divagazioni, a saltare da un argomento all’altro, perdendo il filo 100 volte e a ritrovarlo dopo 100 giravolte. Una definizione quest’ultima, estrapolata dalle Lezioni americane, capace di descrivere esaurientemente la nuova, mirabile, giravolta sperimentale a marchio Perturbazione.


lunedì 6 maggio 2013

Luke Winslow-King - The coming tide

(Pubblicato su Rootshighway)

Molti, in passato, per trovare la propria, metaforica, "strada", hanno dovuto preparare le valigie e percorrere non pochi chilometri. Questo, come la biografia di molti bluesmen insegna, vale anche, se non soprattutto, in ambito musicale. Proprio di quest'ultimi pare un moderno epigono Luke Winslow-King, originario di Cadillac, Michigan, sperduta cittadina ben presto abbandonata per stabilirsi, alfine, in quel di New Orleans. Un rapporto, quello con la Crescent City, divenuto quasi simbiotico, con il nostro a bazzicare sempre più spesso i locali del French Quarter, prestando i propri servizi musicali, tra gli altri, a John Boutte e "Washboard" Chaz Leary. Una necessaria gavetta verso una carriera solista arrivata oggi con The Coming Tide al traguardo del terzo album, nonché esordio per la Bloodshot Records. Una discografia caratterizzata da un continuo crescendo creativo e qualitativo, con punte di eccellenza nel precedente Old/ New Baby, sulla falsariga del quale è stato scritto anche quest'ultimo parto discografico. Là dove però il predecessore presentava una più marcata influenza musicale della Big Easy, in The Coming Tide assistiamo ad un'apertura verso stilemi blues di derivazione deltaica e architetture melodiche di stampo folkie. Del recente passato permangono invece la perizia del nostro sulla propria sei corde, a tradire la sua imberbe età anagrafica, e un songwriting capace di riportare a nuova vita i fantasmi sonori della tradizione afroamericana, infondendo in essi la propria rilucente personalità. Winslow-King si avvale del consueto manipolo di preparati musicisti, ai quali si aggiunge, in questo frangente, la compagna Esther Rose, fondamentale, tanto per il suo contributo nel creare empatiche armonizzazioni vocali, quanto nell'infondere al tutto, con il grattare della sua washboard, un tocco Old Time. Un'atemporalità musicale che pervade la title track con la quale, su di una sincopata sarabanda ritmica in odore di Second Line, ci addentriamo proprio nel French Quarter, prima di ritrovarci, sulle note di un piano, nel saltellante ragtime Moving On (Towards Better Days), seduti in uno dei locali che affollano lo stesso, dove un'orchestra d'altri tempi si destreggia, in Let 'Em Talk, tra gli sbuffi jazzy dei fiati e lo strascicato ciondolare ritmico della washboard. Soave valzer è Staying In Town, con le due voci ad unirsi in un matrimonio armonico perfetto, mentre con I've Got The Blues For Rampart Street viene omaggiata l'opera di una delle più eccelse cantanti afroamericane, Ida Cox. Un amore, quello per il blues arcaico, che traspare tanto dal flavour gospel della johnsoniana Keep Your Lamp Trimmed And Burning, quanto dall'oscura rivisitazione della Ella Speed di Huddie Ledbetter, fino ad una conclusiva I've Got My Mind Set On You, con un lavoro sul bottleneck degno del miglior Ryland Cooder. Un musicista dal talento sopraffino Luke Winslow-King, del quale The Coming Tide è l'ennesima, splendida, testimonianza sonora.