venerdì 4 novembre 2011

Richmond Fontaine - The high country

(Pubblicato su Extra! Music Magazine)

Mi sono sempre chiesto cosa sarebbe accaduto se Willy Vlautin, leader incontrastato dei Richmond Fontaine, avesse deciso un giorno di fondere insieme le sue carriere di musicista e scrittore. Carriere nelle quali fino ad oggi il nostro ha brillato per estro creativo e capacità narrativa, descrivendo sia in musica che attraverso la propria penna l’America dei perdenti e dei derelitti, tanto da essere appellato dai più come il “Bob Dylan dei diseredati”.
Alla mia curiosità sembrava poter dare finalmente soddisfazione il nuovo The High Country, sorta di concept album con il desolato e sperduto Oregon come cornice, narrante la storia di un giovane meccanico innamorato di una ragazza commessa del locale negozio di ricambi d’auto. Mettiamo però subito le cose in chiaro, dicendo che chi, come il sottoscritto, si aspettava una fusione musico-narrativa tra Post To Wire e Motel Lfe rimarrà in parte deluso. Vlautin appronta infatti per l’occasione una novella in chiave gotica, tetra e scura, nella quale non riesce a far confluire in egual misura narrazione e musicalità, ed è forse questo uno dei limiti maggiori di The High Country. Se infatti le canzoni possono essere equiparate a capitoli di un ipotetico romanzo, sono gli intermezzi sonori spesso a deviare o disturbare l’ascolto. Basti prendere frammenti come The Girl On The Logging Road o The Mechanic Falls In Love With The Girl, che anziché legare tra di loro i vari episodi musicali hanno il difetto di rendere la fruizione alquanto tediosa. Per non parlare poi di veri e propri aborti semi-musicali come la quasi recitata Claude Murray’s Breakdown o Angus King Tries To Leave The House, davvero inutili e assolutamente evitabili.
Manca insomma un continuum narrativo tra la parte letteraria e quella musicale, che alla lunga penalizza la buona riuscita del disco, ed è un vero peccato in quanto la penna di Vlautin in alcuni frangenti resta comunque ispirata. Paradossalmente alcune canzoni trovano la loro ragione d’essere prese singolarmente e non quindi facenti capo a un’opera più ampia. Prendiamo per esempio l’epicità di The Chainsaw Sea o la furia quasi garage di Lost In The Trees, che riportano alla luce l’anima più elettrica della band oppure On A Spree dall’incedere quasi marziale e la ruvida The Escape. Azzeccata è invece la scelta di affidare le parti vocali maschili (il giovane meccanico della storia) allo stesso Vlautin, mentre quelle femminili (la commessa) a Deborah Kelly, ex Damnations. Proprio la voce di quest’ultima ha il pregio di attenuare in parte le atmosfere distorte dell’album, riconducendole versi lidi più acustici, come avviene nella tersa Let Me Dream Of The High Country o nella struggente The Meeting On The Logging Road.
Con The High Country, Vlautin ha cercato di creare il suo piccolo grande romanzo americano in musica riuscendovi tuttavia solo in parte, peccando forse di pretenziosità. Il talento indubbiamente c’è ma ha forse bisogno di essere ulteriormente affinato se in futuro vorrà nuovamente impegnarsi in opere così ambiziose.


                       

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