martedì 23 settembre 2014

Hank Shizzoe - Songsmith

(Pubblicato su Rootshighway)



Songwriter dalla spiccata versatilità compositiva, nonché polistrumentista di comprovata bravura, con una predilezione particolare per le corde di vario genere, Hank Shizzoe, al secolo Thomas Herb, giunge oggi a "tagliare" il ragguardevole traguardo del ventennale di una carriera musicale sicuramente non avara di gratificazioni. Tanto, infatti, il tempo trascorso dal suo esordio, avvenuto nel 1994 con il pregevole Low Budget, a tutti gli effetti, nella sua variopinta eterogeneità, ideale manifesto programmatico dello shizzoe-pensiero. Una deliziosa mistura tra anticaglie folk, salmodianti blues prebellici e rusticità rootsy, divenuta ben presto la sua personale, identificativa cifra stilistica, capace non solo di non risultare dispersiva, né derivativa, nella sua multiformità di stili ed influenze, quanto al contrario di conservare intatta, in tutti questi anni, la propria genuinità e freschezza. Un canovaccio sonoro che, sottotraccia, ha quindi caratterizzato l'intera, ed ormai corposa, discografia del chitarrista di Berna, e che ritroviamo, oggi, anche tra i solchi di Songsmith. Frutto di uno sforzo compositivo congiunto con l'amico Stephan Eicher, che ne è anche il produttore, questo nuovo parto shizzoeiano si mantiene infatti sulle medesime coordinate stilistiche dei suoi predecessori, e come quest'ultimi trova la propria ragione d'essere in una libera digressione, autoriale e interpretativa, tra i generi più diversi. Vi è ampio spazio per l'animo cantautorale del nostro, come nella notturna ballata pianistica He Is Not dove a risaltare è la magnetica voce baritonale del titolare, così come nel duetto con l'altrettanto fascinosa vocalità di Shirley Grimes, in una vibrante Light Up tra gli evocativi fraseggi della lap steel e il suggestivo lavorio melodico del bouzouki e del pianoforte. L'inquietante, funereo inizio di The Ghost Of Pain, per sola voce, chitarra acustica e campane a morto, si stempera, infine, nelle atmosfere dilatate di un country desertico d'ascendenza gelbiana, tanto da ricordare in più di un frangente le ultime opere in studio del "Gigante di Sabbia", così come una Planned Obsolescence dall'afflato cameristico, complice la celesta di Reyn Ouwehand. Nell'opener Rocket Ship, al contrario, sono avvertibili rimandi alla reiterate fascinazioni ipnotiche del blues subsahariano dei Tinariwen, in una sorta di excursus sonoro attraverso il deserto del Mali, fino a giungere, sulle note sintetiche di I Talk Too Much, in vista delle luci urbane della Bamako dei Dirtmusic di Chris Eckman e Hugo Race. Di tutt'altro tenore sono invece l'acquerello eelsiano, tra folk e pop d'autore, di Itune (Song For Jony), così come la sagace equiparazione tra i tempi della Grande Crisi e l'odierna situazione economica mondiale di una Like It's 1929 di contagiosa effervescenza swing, seppur in parte inficiata da orrendi inserti strumentali che paiono presi da qualche oscuro b-movie. Splendida nella sua livida introspezione waitsiana è invece la title track, così come decisamente riuscita è la riproposizione della Je Chante del Le Fou Chantant, Charles Trenet, anglicizzata dal nostro in una I Sing dalla trascinante enfasi cabarettistica. Un eclettico artigiano delle corde, Hank Shizzoe, la cui certosina produzione discografica si è mantenuta, fin dall'esordio, sempre su di livelli qualitativi alquanto elevati, come peraltro rimarcato anche dall'odierno, riuscito Songsmith.