sabato 15 marzo 2014

Peregrines - Proximi luces

(Pubblicato su Extra! Music Magazine)

«Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti, tutto a seni e a golfi, a seconda dello sporgere e del rientrare di quelli», decantava l'inizio della più conosciuta opera del Manzoni. Uno scorcio la cui evocativa bellezza ha saputo ispirare tanto la penna manzoniana, quanto, oggi, a 187 anni di distanza, indirizzare lo scrivere musicale dei comaschi Peregrines. Formatosi due anni or sono, il quintetto lombardo mostra infatti un songwriting influenzato tanto dal familiare paesaggio lacustre circostante, quanto da altrettanto suggestive conformazioni naturali d'oltreoceano. Un piede immerso nelle casalinghe acque quindi, ed un altro piantato, ben saldo, tra le rocce delle Blue Ridge Mountains, là dove correvano libere le “volpi di velluto”, ma con un orecchio teso verso gli echi, d'una musica d'altri tempi, provenienti dalle verdi colline inglesi. Aggraziate ed evanescenti armonie vocali, composizioni d'ampio respiro, e dilatato minutaggio, tra agresti risonanze indie folk, focolari dal calore rock, ed arcaiche melodie d'albionica ascendenza, quindi, in un solare cammino, attraverso una soffusa calugine, verso pacificati lidi sonici. Ideali traghettatori, lungo questo pellegrinaggio, sono tanto la voce di Sean, pressoché perfetta, con la propria grazia espressiva, per le trame musicali intessute, quanto un violino, affidato all'archetto di Federico Casarin, fondamentale nel suo render ancor più aereo il suono, indirizzandolo al contempo verso le pastorali campagne anglosassoni. Il tutto viene, abilmente, cristallizzato in piccoli manufatti d'opalescente luminosità come Sun Will Rise, dagli intrecci vocali da brividi, o nei saliscendi armonici, tra oasi di quiete acustica e ascensionali volute elettriche di The Boats And The Waves. Canovaccio compositivo, quest'ultimo, che si ripete nella successiva Mary Celeste, dall'incipit di stampo cameristico, con, ancora, il violino e un pianoforte a sostenere la voce, prima di abbandonarsi verso deliqui di marzialità rockista. Ancora Gran Bretagna, ma quella degli anni zero dei Mumford and Sons, in una Little Dancer avente l'appropriato appeal melodico per fare sfracelli nell'etere radiofonico, grazie anche al radioso picking di un banjo, a raddoppiarne la “gradazione alternative folk”. Ambiziosa, a livello compositivo, è invece la lunga, oltre dieci minuti, The Wood/Superstition, ideale summa del pensiero sonico del combo, tra malinconia attendista e inquiete digressioni strumentali. Un suggestivo caleidoscopio emozionale, Proximi Luces, frutto ispirato di una limpidezza compositiva propria più di un navigato ensemble che di un gruppo alla sua opera prima.

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