mercoledì 26 marzo 2014

Monsieur Voltaire - 33

(Pubblicato su Extra! Music Magazine)


Un curriculum sonoro, quello a nome Marcello Rossi, ormai ventennale, nonché fitto delle più diverse esperienze, dal metal core degli esordi, al noise pop, passando per la ruvida selvatichezza del garage blues. Esperienze, quest'ultime, figlie d'un collettivo sforzo compositivo, in un'ottica da “gruppo”, con la precisa divisione dei ruoli che ciò comportava, dalle quali oggi il chitarrista toscano sembra intenzionato a prendere le distanze, per sobbarcarsi, sulle proprie spalle, l'intero processo autoriale. Una volontaria, quanto cercata, solitudine artistica quindi, come ribadito dalla scelta del proprio alias sonoro, Monsieur Voltaire, dove far affiorare tutte le peculiarità del proprio songwriting, rimaste spesso celate, ed ora finalmente libere di vedere la luce della sala di registrazione, complice l'aiuto in cabina di regia di Carlo Barbagallo. Songwriting, quello del nostro, abbeveratosi, a più riprese, all'arcaica fonte del cantautorato albionico degli anni Sessanta e Settanta, pur non disdegnando un'apertura del proprio sguardo compositivo, attraverso una caleidoscopica lente lisergica, alle polverose “strade blu” statunitensi. Un cammino a ritroso nel tempo quindi, attraverso oppiacei paesaggi dalla smorzata luminescenza, del quale il salmodiante mantra psichedelico di The Run è solo il primo, nebuloso, passo, in una distorta ricerca sonica che raggiunge il culmine, nella solenne densità strutturale di Last Place. Si respirano, al contrario, gli agresti sentori delle pianure americane in Railand, suggestivo esercizio di rilassatezza country folk, dove sull'intelaiatura acustica ad opera delle corde della chitarra e della lapsteel, si spande la liquidità dell'organo, con un sottofondo ritmico affidato al sabbioso strisciare delle spazzole sui tamburi e al trattenuto palpitare del basso. Percorrendo le medesime mulattiere a stelle e strisce, al calare della sera, si giunge infine alla conclusiva Purgatory, idilliaca oasi di quiete rurale. Un fingerpicking dalla delicatezza autunnale rimanda invece, in The Shine, alla tormentata inquietudine di Nick Drake, avvolta da un ottundente fondale di cupa ossessività distorta. Le dilatate rifrazioni armoniche di Waiting To Be Kill, mostrano, vicerversa, cosa sarebbe potuto scaturire da un incontro, in studio, tra i primigeni, barrettiani, Pink Floyd e la sei corde acustica di Bert Jansch, transfuga dai Pentangle, in quello che è un dopato folk dai toni opalescenti. A metà strada tra i Beatles, in pieno trip lisergico, di Sergent Pepper's Lonely Hearts Club Band, e le allucinazioni solistiche lennoniane, è, dal canto suo, una Emily di sopraffina fattura, tra solari ammiccamenti pop e sbilenco ciondolare bluesy. Otto pillole dalle tinte grigie, quelle dispensate da Monsieur Voltaire in questo suo, notevole, debutto, in grado, una volta “ingoiate”, di farvi librare leggeri tra ovattate nuvole e arcobaleni multicolori, verso le nebbie di un passato capace ancor oggi di sedurre con il proprio incanto sonico.

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