domenica 10 novembre 2013

Green Like July @ Raindogs - Savona

(Pubblicato su Extra! Music Magazine)

Uno sferzante vento autunnale flagella implacabile una Savona plumbea e grigia, ma un semplice passo dentro alle accoglienti mura del Raindogs ed eccoci proiettati, perlomeno idealmente, nella provincia americana più profonda, tra quelle strade blu, lungo le quali sono nati, e spesso si sono infranti, i sogni musicali di giovani promesse, americane e non. Quelle medesime strade percorse in più d’un occasione anche dai Green Like July, combo d’italiana anagrafe ma ormai statunitense d’adozione, nel loro continuo pellegrinaggio verso una mecca sonica, Omaha, divenuta quasi una seconda casa. Proprio nella cittadina del Nebraska, sotto l’egida di A.J. Mogis, hanno infatti visto la luce, negli ARC Studios, tanto lo splendido Four-Legged Fortune, quanto il recente, nonché altrettanto riuscito, Build A Fire. E se nel primo l’influenza esercitata sui nostri dall’alternative folk a stelle e strisce era più che evidente, la loro ultima fatica evidenzia, altresì, in un rilucente esempio d’intelligenza pop, una maggior volontà sperimentatrice. Sperimentazione accentuatasi di pari passo ad un allargamento della line up, assestatasi in un quintetto d’indubbia versatilità, dove tuttavia la figura centrale rimane pur sempre l’eclettico Andrea Poggio, intorno alla cui voce e chitarra acustica pare ruotare l’intero universo sonoro a nome Green Like July. Incroci vocali da brividi, immaginifici svolazzi folkie, ed evanescente ariosità pop, questi gli ingredienti di un sound, oggi equamente bilanciato tra le due anime sonore summenzionate, come ribadito da una setlist attingente in egual misura da entrambi i full-length. L’incipit è affidato al tenue pizzicare della sei corde acustica del solo Poggio, in una scarna, essenziale ma emotivamente pregnante, rivisitazione di A Better Man, sintomatica della caratura compositiva nonché interpretativa del songwriter d’origine alessandrina; il quale viene di lì a poco raggiunto, dai suoi compagni, nella suadente malinconia, in odore d’Americana, di No Light Will Shine On Me. Agatha Of Sicily, pur in parte spogliata dei propri orpelli sonici, rimane, come la cittadina siciliana dalla quale è stata ispirata, una piccola gemma, dall’inebriante flavour pop, grazie anche ad impeccabili armonizzazioni vocali; sulle quali è stato costruito, d’altronde, proprio gran parte di Build A Fire. E se Jackson è una nuova digressione verso agresti territori americani, sulle orme tanto dei Jayhawks quanto della Band, l’elettricità velvettiana di Borrowed Time, dedicata stasera allo scomparso Lou Reed, è quanto mai esplicativa del nuovo “corso” dei milanesi. Piccola oasi d’intimistico raccoglimento, con la voce a muoversi flebile su un tappeto armonico ad opera del Fender Rhodes, Robert Marvin Calthorpe trova il proprio contraltare nella bulimia lirico-ritmica di un’incontenibile Moving To The City. Il lento, insinuante, dipanarsi di An Ordinary Friend, confluisce, invece, in un emozionale medley con la brumosa malia di una Nothing Is Forever suonata quasi in punta di dita, prima che una struggente A Perfect Match veda il set concludersi tra gli applausi. Talmente calorosi da “costringere” Andrea Poggio a ripresentarsi, nuovamente in solitaria, sul palco, per una St. John Of The Cross d’abbacinante purezza folkie. “Solitamente non facciamo bis” ammette quest’ultimo, ma forse convinto dal calore riservatogli dal pubblico savonese, richiama sul palco anche i propri compagni e, prendendo spunto da un concerto degli Stooges in cui Iggy Pop eseguì per ben tre volte I Wanna Be Your Dog, i cinque ripropongono una corale Moving To The City, con gli astanti ad unirsi loro nel canto. Un concerto a dir poco sublime quello di stasera, ad opera di un combo, i Green Like July, che si confermano una delle più interessanti realtà partorite dagli italici confini in questi ultimi anni.

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