giovedì 28 novembre 2013

The Waterboys @ Auditorium - Milano

(Pubblicato su Extra! Music Magazine)    

La musica è, da sempre, uno dei modi migliori per viaggiare, nei più sperduti angoli del globo, senza, in realtà, muoversi dalla propria poltrona. Una materia viva, aperta alle più differenti contaminazioni, nonché ideale “veicolo” con il quale macinare chilometri, su di un’immaginifica cartina topografica. Proprio un suggestivo viaggio spazio-temporale hanno avuto la fortuna di compiere i convenuti questa sera, all’Auditorium di Milano, per assistere al ritorno sull’italico suolo dei Waterboys. Non appena entrati nella piccola sala, infatti, gettando una rapida occhiata verso il palco, ci si ritrova catapultati indietro di più di venticinque anni, di fronte alla Spiddal House, al tempo agreste rifugio irlandese degli stessi Waterboys, che proprio tra quelle mura concepirono e, in parte, registrarono il loro indiscusso capolavoro, Fisherman’s Blues, del quale quest’anno ricorre, per l’appunto, il venticinquennale della pubblicazione. Una genesi sonora, da dividersi, geograficamente, in egual modo tra la verde Irlanda e la solare San Francisco, caratterizzata da una bulimia compositiva capace, al tempo, di apporre su pentagramma, ben più dei brani contenuti nei castranti solchi dell’LP dato alle stampe, come peraltro ben evidenziato dal lussureggiante cofanetto Fisherman’s Box, pubblicato pochi mesi fa, e contenente i brani all’epoca inspiegabilmente accantonati. Proprio il “compleanno” dell’album medesimo è stato anche il pretesto per il riavvicinamento di coloro che ne furono i fautori, ovvero Steve Wickham e Anthony Thistlethwaite, nuovamente sul palco insieme a Mike Scott, perpetuatore unico, in questi anni, del verbo dei “ragazzi acquatici”. Un’occasione quindi, più unica che rara, quella concessaci dai nostri, con questo Fisherman’s Blues Revisited Tour, visto, oltremodo, che non si sarebbero limitati a suonare pedissequamente l’album in questione, ma avrebbero, con la selvaggia libertà espressiva di quei giorni lontani, ripercorso in lungo e in largo la loro discografia. L’inizio è affidato tuttavia a Strange Boat, estrapolata proprio da Fisherman’s Blues, con il solo Scott a guadagnare dapprima il proscenio, raggiunto poco dopo dal violino di Wickham e dal mandolino di Thistlethwaite, prima di un finale alla cui coralità strumentale partecipano attivamente anche il basso di Trevor Hutchinson e la batteria di Ralph Salmins. Cuore pulsante dell’intera performance sarà tuttavia proprio Mike Scott, la cui voce sembra non aver perso, con il trascorrere del tempo, la propria graffiante, evocativa, poeticità. Quasi un folletto, nel suo destreggiarsi tanto con la chitarra acustica quanto con il piano elettrico, grazie al quale viene riproposta una vigorosa A Girl Called Johnny, proveniente nientemeno che dal loro eponimo esordio, datato 1983. Se tra le perle dimenticate, e fortunatamente riportate alla luce con il recente box, facevano bella mostra di sé alcune rivisitazioni del songbook dylaniano, questa sera l’omaggio, a colui che può essere considerato quale vero e proprio maestro per lo stesso Scott, viene tributato con una Girl From The North Country capace d’unire, tra afflato d’americano folklore e sentori irlandesi, le due sponde dell’Oceano Atlantico. Dal medesimo box provengono anche una Stranger To Me, eseguita dai cinque come se facessero parte d’un vetusto gruppo country; così come il blues pianistico Tenderfootin’, alla sua “prima”, on stage. E’ tuttavia il folk, rinvigorito nella scheletrica ossatura da un midollo di stampo rock, la materia sonora prediletta dalla compagine scozzese, come peraltro ribadito, poco dopo, dal passo deciso di una When Ye Go Away, che il lavorio al bottleneck di Thistlethwaite vira verso lidi country; o da una sempre magnifica When Will We Be Married?, con il piano e violino a tracciarne, in una simbiosi pressoché perfetta, la limpida linea melodica. Le pause dalle sedute di registrazione americane di Fisherman’s Blues furono, inoltre, un più che buon pretesto per autentici vagabondaggi attraverso la Mill Valley, con tappa ultima il Village Records, dove fare incetta di vecchi vinili di gospel, blues e country. Proprio grazie a questi acquisti americani avvenne la scoperta di Come Live With Me, accorata ballata amorosa, resa celebre da Ray Charles, e questa sera riproposta, con le mani di Scott quasi ad emulare, sui tasti, quelle charlesiane. Un piccolo problema all’amplificazione del suo violino non scoraggia Wickham che, dopo aver allietato i presenti con un puntato reel, eseguito davanti al microfono della voce, una volta ovviato al problema, guida le danze nella forsennata rivisitazione del tradizionale Raggle Taggle Gipsy, testimonianza di come le radici musicali del gruppo siano ancora saldamente ancorate nella natia Scozia. We Will Not Be Lovers, con Scott ad imbracciare la sei corde elettrica, è una nervosa valvola di sfogo della propria veemenza rockista, prima che il tutto venga stemperato, con un nuovo ritorno in terra americana, nelle lamentevoli note country di una I’m So Lonesome I Could Cry, in memoria del leggendario Hank Williams, a dir poco da brividi. Atmosfere da fumoso pub newyorkese si respirano in Blues For Your Baby, terreno ideale per le evoluzioni solistiche del sax di Thistlethwaite, che si ripete poco dopo in un’intensa, scarnificata, Don’t Bang The Drum, eseguita in trio. Dal recente An Appointment With Mr. Yeats proviene invece Mad As The Mist And Snow, la cui grazia melodica si libra leggera sulle ali di un reel, per soli chitarra acustica e violino, prima del conclusivo rinforzo ritmico di organo, basso e batteria. Se con la bucolica liricità di Sweet Thing, inframmezzata come di consueto dal reprise beatlesiano di Blackbird, ci addentriamo fra le “settimane astrali” morrisoniane, un autentico boato accoglie le prime note d’una attesa, meravigliosa Fisherman’s Blues, con la quale i cinque salutano, tra gli applausi a scena aperta. E’ tuttavia solo un attimo, giusto il tempo di invocarne a gran voce il nome, ed eccoli tornare on stage, dove l’archetto di Wickham, assurge a vero protagonista, sprigionando arie irish sulle note della giga Dunford’s Dancy, accompagnato dal battito di mani di tutti gli astanti, prima di una conclusiva, pianistica, The Whole Of The Moon. Il pubblico pare ancora affamato di musica, a ragion veduta vista la qualità di quella proposta finora, tanto da convincere Scott e compagni a ritornare una seconda volta sul palco. E se il fervore congregazionale del gospel On My Way To Heaven spinge la platea ad abbandonare i propri posti a sedere per assieparsi sotto il palco, a danzare, le note di Saints And Angels rappresentano il vellutato commiato da un magico viaggio che, dalla plumbea tristezza autunnale di una Milano novembrina, ci ha portato a visitare i luoghi dove un album imprescindibile, quale Fisherman’s Blues, è stato composto e registrato, da una compagine capace di farci rivivere, oggi, la malia creativa di quei giorni, per una sera, non poi così lontani.

SETLIST:

Strange Boat
Higher bound
A Girl Called Johnny
Girl From The North Country
Stranger To Me
When Ye Go Away
Tenderfootin’
When Will We Be Married?
Come Live With Me
Raggle Tagglle Gipsy
We Will Not Be Lovers
I’m So Lonesome I Could Cry
Blues For Your Baby
Don’t Bang The Drum
Mad As The Mist And Snow
Sweet Thing
Fisherman’s Blues

ENCORE
Dunford’s Dancy
The Whole Of The Moon

ENCORE 2
On My Way To Heaven
Saints And Angels

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