giovedì 28 novembre 2013

Radical Face - The Family Tree: The Branches

(Pubblicato su Extra! Music Magazine)

Scrittore, per nostra fortuna, mancato, a causa d’un irreparabile guasto del proprio hard disk (nel quale erano contenuti ben due romanzi quasi completi), Ben Cooper decide tuttavia d’irridere la malasorte e incanalare il proprio fervore creativo in ambito musicale, creandosi così in poco tempo, sotto lo pseudonimo Radical Face, una prolifica carriera cantautorale. Una vena narrativa mai affievolitasi quindi, con il trascorrere del tempo, anzi capace di dar vita alla storia, fittizia, di una famiglia del diciannovesimo secolo, i Northcotes. Una vera e propria saga, cristallizzatasi, inizialmente, in un primo capitolo discografico, emblematicamente chiamato The Roots (Le radici), pubblicato nel 2011, e registrato nel capanno degli attrezzi della casa materna, a Jacksonville, utilizzando strumenti musicali presenti all’epoca delle vicende narrate. Un modus operandi quest’ultimo, caratterizzante anche la stesura di The Branches (I rami), secondo capitolo della medesima storia familiare, trasposto su nastro mediante una strumentazione, nella sua quasi totalità, presente tra il 1860 e il 1910, con giusto qualche piccola concessione “modernista”. Un tessuto musicale di spartana essenzialità, leggermente increspato da minimali scintille sperimentali e mai invadenti rumori ambientali; questa la linfa vitale dei nodosi “rami” cooperiani. Rami sui quali sono spuntati germogli di verde fascinazione folkie; quali il palpitare uggioso di Holy Branches, o una The Mute di sgangherata grazia, sospesa tra il Justin Vernon più riflessivo e le sghembe sincopi ritmiche dei Lumineers. Un arcolaio sonico, quest’ultimo, attraverso il quale viene tessuta anche Summer Skeletons, sontuoso intreccio tra il picking gentile di una sei corde acustica, le raffinatezze barocche del pianoforte e svolazzanti intarsi violinistici. E se Chains colpisce per la sua costruzione melodica in divenire, passando dal clangore iniziale di ferree catene a brumose suggestioni avant folk, in The Gilded Hand maggior spazio viene lasciato all’ardire compositivo cooperiano, tra rumori di fondo, tonfi percussivi ed insinuanti pulviscoli armonici. E’ tuttavia con la conclusiva We All Go The Same che il songwriting del Nostro raggiunge vette di pura eccellenza, in una magnifica ballata pianistica, pervasa da incantevoli arie irish. Un tenue barlume di bellezza sonica, The Branches, a rischiarare la grigia tetraggine di un piovoso autunno, ottimamente composto ed orchestrato da un cantautore a dir poco magistrale nel dosare con perizia sperimentazione e arcaicità.

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