venerdì 15 novembre 2013

Reed Turchi @ Raindogs - Savona

(Pubblicato su Extra! Music Magazine)

"Hear the wind blowin way on top of the hill" cantava, giusto qualche anno fa, Luther Dickinson; un vento, sul cui impetuoso soffiare, si propagavano, nella pianura sottostante, gli echi dei tribalismi percussivi della Rising Star Fife And Drum Band di Otha Turner, del nevrotico rifferama del “rebel in the blues” RL Burnside, così come della ripetitività ipnotica di Junior Kimbrough. Vagiti lontani di un Hill Country Blues, che paiono tuttavia ancor oggi risuonare, nonostante la dipartita dei suoi storici rappresentanti. Merito, ma non solo, proprio del summenzionato Luther Dickinson, alfiere, con i suoi North Mississippi Allstars, del recupero della tradizione musicale di una terra, meta prediletta di un coacervo, sempre più consistente, di musicisti. Appartiene a quest’ultimi Reed Turchi, nato in quel di Asheville, Carolina del Nord, entro i cui confini il vento delle colline è riuscito alfine a giungere, recando il proprio arcaico messaggio sonoro sino alle orecchie del nostro; il quale, imbracciata una sei corde elettrica, ha saputo farlo proprio riversandolo tra i solchi di un folgorante debutto, Road Ends In Water. Un bottleneck a muoversi tagliente, tanto sulle corde di una chitarra, che di una cigar box, rigorosamente autocostruita, ed una voce d’abrasiva rochezza; questi gli “ingredienti” alla base di un personale, grezzo, impasto sonoro, denominato Kudzu Boogie. Un vero e proprio marchio sonico, capace di mostrarsi appieno, in tutte le sue sfaccettature, sulle assi di un palco, come peraltro testimoniato dal recente Live In Lafayette, fedele testimonianza su nastro, delle incendiarie performance on stage. Vi era pertanto molta attesa, tra i cultori del blues collinare, e non, per l’arrivo nel nostro paese del chitarrista, impegnato in un pugno di date, organizzate dall’associazione culturale capitolina Mojo Station. Visto poi, che tra queste figurava anche una tappa savonese, sarebbe stato un peccato mortale, per il sottoscritto, mancare all’appuntamento. Lasciati negli Stati Uniti gli abituali compagni di “scorribande sonore”, Turchi si presenta, in questo mini tour italiano, in un’inedita formazione a due, accompagnato alla batteria da Gianluca Giannasso, in libera uscita dal combo romano dei Dead Shrimp. Una dimensione, quella del duo, che, nella sua ruvida e scarna essenzialità, si rivelerà alfine perfetta per scandagliare al meglio l’universo sonoro reediano. Fin da un’iniziale Do For You, d’adrenalinica veemenza, Turchi conferma di possedere un invidiabile bagaglio tecnico, come è altresì notevole la sua conoscenza di quella materia sonora a nome Hill Country Blues, masticata, fagocitata, ed oggi riproposta con un viscerale fervore espressivo, ben esemplificato nel medley Big Mama’s Door/ Poor Black Mattie/ Skinny Woman, capace d’unire, in un excursus chitarristico teso fino allo spasimo, una delle tante perle a firma Alvin Youngblood Hart, con il sempiterno songbook marchiato RL Burnside. Un libero sgorgare di note cristallizzato in medley d’epica lunghezza, come nella rivisitazione, per cigar box, della pattoniana Mississippi Boll Weevil, sfociante in una salvifica Keep Your Lamp Trimmed And Burning, eseguita su di un tavolo, in piedi, con un bicchiere di vetro quale bottleneck. Vi è spazio anche per brani d’autografa fattura, quali una riverberata Mind’s Eye, estrapolata dal recente EP My Time Ain’t Now, o l’inedito, talking distorto di Take Me Back Home, che lascia ben sperare in vista di una prossima release. E se il cadenzato midtempo Junior’s Boogie si appropria del reiterare ossessivo di kimbroughiana memoria, l’accoppiata Don’t Let The Devil Ride/ Write Me A Few Lines, rappresenta un tributo al proprio “nume tutelare” Mississippi Fred McDowell. Pare non sentire affatto la mancanza dei suoi fidati pards il buon Turchi, merito anche dell’abilità e precisione ritmica di Giannasso, che non fa rimpiangere il suo “collega” Cameron Weeks, come dimostrato tanto da una caustica Brother’s Blood, quanto dai “consigli medici” di Dr. Recommended. Il chitarrista del Nord Carolina, dal canto suo, non si risparmia, incantando, per purezza sonora e maestria espressiva, un pubblico visibilmente soddisfatto, tanto da tributargli quasi un’ovazione. C’è ancora il tempo per un ultimo torrenziale medley, nel quale far confluire una sequela di brani tradizionali, a dir poco da brividi, quali John Henry, Back Back Train, Glory Glory Hallelujah e Woke Up With Jesus On My Mind, con il fantasma di Mississippi Fred McDowell che sorride compiaciuto a lato palco. Un ideale suggello ad un concerto pregno di sudore e scorticanti vibrazioni blues, con Reed Turchi a dimostrare una volta di più, di aver appreso, trasmettendolo questa sera agli astanti in una nuova e peculiare veste, l’originario verbo dei propri “maestri”, la cui eco, fin che vi saranno discepoli di siffatta bravura, continuerà a soffiare imperterrita nel vento.

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