domenica 21 dicembre 2014

Melissa Ruth and the Likely Stories - Riding Mercury

(Pubblicato su Rootshighway)


Diciassette microfoni posti davanti alla batteria, due diversi bassisti, il proprio marito alla sei corde elettrica, una bottiglia di whiskey e l'amata Guild Guitar del 1958 al suo fianco; tanto è servito a Melissa Ruth per "catturare" su nastro l'essenza primigenia dei brani andati infine a comporre Riding Mercury, sua terza prova in studio. Un lavoro che ricalca quanto di buono mostrato dal precedente Ain't No Whiskey, deciso scarto di lato stilistico rispetto al debutto Underwater And Other Places, ben più ancorato ad acustiche trame country folk. Per il suo nuovo parto artistico la Ruth opta, infatti, come già avvenuto nella precedente release per sonorità ancor più pregne d'elettricità, tra cupa tribolazione blues e notturna confessionalità jazz. Accompagnata anche in questo frangente dalle "Storie Piacevoli" ovvero un combo a conduzione "familiare" nel quale figurano il già citato marito, Johnny Leal, alla chitarra, e il di lui fratello Jimmy alla batteria, ai quali si aggiungono in questo frangente, alternandosi al basso, Rick DeVol e Scoop McGuire, la Ruth, oltre a dedicarsi a un, più che notevole, lavorio di songwriting, e a padroneggiare chitarra elettrica, banjo e tastiere, si fa qui carico anche del ruolo di produttrice, in partnership con Don Ross. Registrati in analogico, con tutti i musicisti chiusi in un'unica stanza, i brani qui acclusi mantengono, in tal modo, intatta la propria forza lirica, ulteriormente accentuata dalla tormentata voce della Ruth, intrisa della rabbia e della disperazione di un periodo della propria vita non facile, segnato da perdite familiari e da profondi dolori privati. Una vocalità, la sua, accostabile tanto a quella, meno roca, di una giovane Lucinda Williams, quanto ad una Ani DiFranco più introspettiva e meno barricadera, in grado di emergere, in tutta la propria, calda espressività, in brani dalla maggior dilatazione armonica, come nel pervasivo slow blues Summer Nights In New Orleans, nel respiro soul di Your Love, impreziosita dai limpidi fraseggi della chitarra di Leal, o nel crucciarsi amoroso di una stentorea, supplichevole Who's Your Lover?. Non mancano tuttavia episodi di più marcata dinamicità, come la sfuriata bluesy dell'opener What I Got, che non avrebbe sfigurato sull'ultimo, stupendo, disco della stessa Williams, o il puntato shuffle A Letter, fino alla ritmata sarabanda, con la comparsa del trombone di Talon Nansel, di High Brow Blues, dove più evidenti sono, a livello vocale, le assonanze con la DiFranco. Il rallentato, drammatico svolgersi della lunga title track, posta in chiusura, è invece l'occasione, per la Ruth, di profondersi in un'ultima, straziante prova vocale. Giunta al tanto ambito, quanto rischioso, terzo album, Melissa Ruth mostra un'invidiabile maturità stilistica ed interpretativa, tale da permetterle di fuoriuscire dal "popolato" gruppo delle "promesse" ed entrare a far parte del, all'incontrario, ristretto novero delle più solide, nuove realtà del songwriting americano.




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