domenica 14 dicembre 2014

Ben Miller Band - Anyway, shape or form

(Pubblicato su Extra! Music Magazine)


È un'autentica dichiarazione d'intenti, fin dal titolo, il secondo album della Ben Miller Band, a rimarcare, perentoriamente, una naturale predisposizione a ricorrere a qualsiasi mezzo necessario pur di creare e trasmettere la propria musica. Una “filosofia sonica” che, fin dal loro esordio Heavy Load, ha visto il trio del Missouri rivolgere la sua attenzione alle radici musicali del proprio paese, estirpandole per poi ripiantarle in un più moderno, personale, humus sonoro, come ben si evince, fin dal primo ascolto, in questo loro nuovo parto discografico. Edito dalla prestigiosa New West e registrato in quel di Nashville, sotto l'egida del produttore Vance Powell(già al lavoro, tra gli altri, con Jack White e Wanda Jackson), Anyway, Shape Or Form, infatti, vede ulteriormente accentuarsi l'irriverente verve del trio, riuscendo, nel non facile intento, di suonare al contempo antico e moderno. D'altra parte la persona miscela approntata dai nostri, e battezzata, orgogliosamente, con il nome di Ozark Stomp, nasce da un continuo mescolarsi di suoni, stili e generi, in un salto musico-temporale, dove il folk appalachiano, proveniente proprio dalle succitate Ozark Mountains, viene sporcato con il fango del Delta del Mississippi, per poi essere diluito con l'afflitta indolenza del country, il tutto grazie ad un approccio dalla materia tradizionale caratterizzato da una lucida follia interpretativa. Un'atemporalità sonora riscontrabile anche nell'armamentario strumentale al quale i tre fanno ricorso, con vetusti strumenti provenienti proprio dalla tradizionale musicale afroamericana, ma dai nostri rivisitati, personalizzati nonché elettrificati. Alle classiche sei corde, acustiche ed elettriche, affidate alle sapienti mani di Ben Miller, il quale si diletta a martoriare con foga, e a più riprese. anche una cigar box ed un banjo, si affiancano il costante pulsare del washtub bass (basso ad una corda ottenuto infilando un bastone dentro ad una vecchia tinozza per bucato) di Scott Leeper e la washboard e i cucchiai di Doug Dicharry. Un nutrito “arsenale” attraverso il quale dar sfogo alle proprie “inquietudini” musicali, quindi, in una delirante digressione in arcaici territori di matrice bianca e nera. D'ascendenza bianca sono, senza dubbio, l'opener The Outsider, così come Ghosts, figlie illegittime della old time music echeggiante ancor oggi dalle Ozark Mountains, con il picking furibondo, sul banjo, di Miller ben sostenuto dagli sgangherati battiti percussivi dei suoi due compagni. Si respira, al contrario, l'aria delle colline del Mississippi in Hurry Up And Wait, in un rutilante vortice hill country blues dove l'ossessività ipnotica di RL Burnside, incontra la debordante schizofrenia, al limite del punk, degli Hillstomp; per arrivare, infine, a lambire il torrido Texas, patria di un altro trio, ben più barbuto dei nostri, gli ZZ Top di Billy Gibbons, con il sanguigno boogie You Don't Know. Di tutt'altro tenore è, invece, I Feel For You, d'agrodolce afflato country, arricchita dai dilatati fraseggi di una pedal steel. Country che ritroviamo imbastardito dal verace soffiare bluesy di un'armonica, anche in Life On Wheels, frenetica proprio come una “vita sulle ruote”, a macinare chilometri su chilometri, di città in città, lungo sterminate highway. Notevoli, pur nella loro atipicità, sono la vivace 23 Skidoo, a metà strada tra il western swing degli Asleep At The Wheel e un'euforica sarabanda in puro stile dixieland, ed il corale, ubriaco, valzer, in salsa mariachi, di Prettiest Girl. E se i nostri attingono direttamente alla summenzionata materia tradizionale, con una personale rivisitazione della ballata The Cuckoo, fagocitata e qui risputata sotto forma di un contorto salmodiare folk d'apocalittica elettricità, la chiusura dell'album è appannaggio, invece, del solo Miller e della sua sei corde acustica, con una King Kong di dimessa mestizia folkie. Nella sua multiforme varietà stilistica, Anyway, Shape Or Form, non solo rappresenta un'ideale summa della veemente estetica sonora del trio del Missouri, ma è allo stesso tempo una delle più genuine uscite, in ambito rootsy, di quest'anno.



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