sabato 29 novembre 2014

Mark Olson - Good-bye Lizelle

(Pubblicato su Extra! Music Magazine)


Il ritirarsi, in volontario esilio, evitando in tal modo le pressioni dell'odierna industria discografica, sembra giovare al songwriting di Mark Olson, come in passato dimostrato dagli album a nome Original Harmony Ridge Creek Dippers, cristallini risultati di una purezza compositiva ritrovata tra la sabbia del deserto del Mojave, o come nel caso dell'odierno 'Good-bye Lizelle', album "globale" concepito e posto su nastro durante alcuni viaggi, tra Armenia, Repubblica Ceca, Usa, Norvegia e Finlandia. Proprio nel freddo nord Europa il songwriter americano pare aver trovato nuovi stimoli, grazie anche all'incontro con la polistrumentista e cantante norvegese Ingunn Ringvold, divenuta sua moglie e partner artistica. Un sodalizio, ricordante quello con l'ex consorte Victoria Williams, iniziato, musicalmente, tra i solchi di Many Colored Kite, secondo album solista, invero non del tutto a fuoco, del nostro, e seguito dell'invece brillante esordio The Salvation Blues, per poi proseguire durante le sessioni di registrazione di Mockingbird Time, acerbo frutto dell'estemporanea reunion dei seminali Jayhawks. Solo oggi, tuttavia, la collaborazione autoriale tra i due pare raggiungere finalmente la propria compiutezza, con la Ringvold non solo impegnata a "colorare" il songwriting olsoniano con le proprie, multiformi capacità strumentali, oltre che con splendide armonizzazioni vocali, quanto a partecipare direttamente allo stesso, unendo in più di un episodio la propria penna a quella del marito, in un processo di scrittura a due non scevro di pregevoli risultati. Composizioni in divenire, nate e registrate, in modo spesso informale, nella quiete di un portico o tra le pareti di legno di un vecchio fienile, grazie all'ausilio di un registratore portatile Nagra e al supporto di una piccolo gruppo di musicisti norvegesi, nel tentativo di salvaguardare l'immediatezza del momento e la veridicità esecutiva, grazie ad un approccio che pare figlio delle field recordings di lomaxiana memoria. A giovarne, oltre alle composizioni, è il suono stesso dell'album, caldo ed avvolgente, come ricoperto da una suggestiva aurea Sixties, nonché intriso delle influenze sonore dei luoghi nei quali è stato impresso su nastro. Ed è proprio la ricchezza cromatica delle strutture melodiche a colpire, in un inedito ampliamento della tavolozza sonora olsoniana, con le seppiate tonalità Americana originarie a fondersi con più mediorientali coloriture dalle tinte ocra. Basta infatti immergersi in brani quali Running Circles o Jesse In An Old World, dove il tremulo vibrare delle corde del quanon ed il rallentato battere tribale delle percussioni sono l'ideale tappeto ritmico-melodico per melismatici incroci vocali, oppure nella sublime Say You Are The River, rimandante tanto alla pastoralità acida del folk psichedelico albionico di fine anni Sessanta, quanto all'infatuazione per il misticismo e le sonorità indiane di George Harrison, in particolare, e dei Beatles tutti, per apprendere come la parte mediorientale del viaggio dei due abbia senza dubbio influenzato la genesi degli stessi brani. Nella luminescenza lisergica di Poison Oleander appare invece la sei corde elettrica dell'amico Neal Casal, riportando le coordinate stilistiche aldilà dell'Oceano, entro quelle strade Americana in passato battute a più riprese con i Jayhawks e i cui ricordi qui paiono a tratti riemergere, come nella melanconica Long Distance Runner. Piccole oasi di trattenuta introversione sono tanto Cherry Thieves e Which World Is Ours?, in un incantevole pastiche folk rock intriso della solarità del Laurel Canyon settantiano di un'altra coppia, quella formata da Graham Nash e Joni Mitchell. Non mancano momenti di più sgargiante chiarore melodico, come All These Games e Heaven's Shelter, dove ben evidente, invece, è il marchio sonoro dell'Olson solista, o la conclusiva, pianistica Go-Between Butterfly, impreziosita dagli intarsi cameristici del violoncello di Vojtech Havel e del flauto di di Marek Spelina. Uno scrigno colmo di delizie, Good-bye Lizelle, di cartoline esistenziali di un viaggio musicale da parte di un songwriter cosmopolita tornato a deliziarci con una grazia espressiva raramente attestatasi sui medesimi livelli nelle sue precedenti sortite da solista.





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