venerdì 18 luglio 2014

Robert Plant & the Sensational Space Shifters / North Mississippi Allstars @ Pistoia Blues Festival - Pistoia

(Pubblicato su Extra! Music Magazine)


Una lieve pioggia tamburella sul parabrezza della macchina mentre ci avviciniamo a Pistoia, lasciando presagire, viste anche le grigie nuvole dalle quali proviene, una serata “bagnata”. Fortunatamente, giusto il tempo di trovare parcheggio, e il cielo si mostra clemente aprendosi in tutta la sua tersa ed azzurra limpidezza, quasi avesse ascoltato le nostre suppliche. Raggiunto il centro della cittadina toscana, ci dirigiamo verso piazza del Duomo, dove questa sera salirà sul palco del Pistoia Blues Robert Plant, nel battesimo italiano della sua nuova avventura musicale in compagnia dei Sensational Space Shifters. Arrivati quasi in prossimità della piazza ci imbattiamo, quasi per caso, in Cody Dickinson, batterista nonché anima, insieme al fratello Luther, dei North Mississippi Allstars, ai quali spetterà invece il compito di aprire la serata. Due parole, una foto insieme e il buon Cody ci lascia con la profetica frase “World boogie is coming”. Una profezia che si dimostrerà quanto mai veritiera, perlomeno a giudicare da quanto ascoltato, poco dopo, quando i tre si sono presentati sul palco. Praticamente sconosciuti ad una già gremita piazza, colorata da una miriade di magliette recanti, come inevitabile, il nome dei Led Zeppelin, il trio di Hernando non si è lasciato intimorire, dando vita ad un set di rara intensità, in un'impeccabile riproposizione di quel hill country blues del quale i nostri sono tanto giovani alfieri, quanto prosecutori di un'antica tradizione avente come capostipiti leggende, a lungo frequentate, del calibro di RL Burnside e Otha Turner. Proprio con un tributo a quest'ultimo ha inizio il concerto, in un medley d'arcaico tribalismo tra Shimmy, una dixoniana My Babe e una sanguigna Station Blues, a rievocare quelle poliritmie elemento fondante delle sonorità fife and drum di cui proprio Turner fu uno dei più fulgidi rappresentanti. “World boogie is coming” aveva promesso Cody, e proprio dal loro ultimo lavoro, recante lo stesso titolo, i fratelli Dickinson hanno attinto a piene mani, traghettando nel futuro, secondo una personale visione modernista della materia, vecchi tradizionali e brani simbolo del blues delle colline. Ad aiutare i due vi è Lightning Malcom, brillante chitarrista nonché amico di lunga data, assoldato, in questo frangente, come bassista, nell'ardua impresa di sostituire il corpulento Chris “Big” Chew. Compito svolto, invero, più che egregiamente, con il nostro a muoversi agile e preciso sul proprio, inedito strumento, come in una serrata Rollin And Tumblin, con Luther impegnato a far scorrere il proprio slide sulle due corde di un'auto-costruita coffee can guitar. È invece Cody a rubare la scena ai due, prima indossando una washboard “preparata” ed effettata, grattandola con veemenza in una debordante versione di Psychedelic Sex Machine, per poi indossare un marching snare e dar vita, insieme a Luther alla grancassa e Malcom ad un piccolo tom, ad una tonitruante rivisitazione della turneriana Granny, Does Your Dog Bite, conclusa in mezzo alla piazza tra le urla entusiaste dei presenti. Tornati sul palco i tre ci inebriano con gli effluvi sudisti della strumentale ML, dove Cody imbraccia anch'egli una chitarra elettrica per incrociarla con quella del fratello e Malcom si siede alla batteria dividendosi tra basso, grancassa e rullante; per poi tuffarsi in un nuovo infuocato medley, intriso nel fango del Delta del Mississippi, tra Preachin' Blues, a firma Robert Johnson, e una Mississippi Boll Weevil di pattoniana memoria. Il marziale dipanarsi di Back Back Train è invece l'enfatico preambolo ad una nervosa, elettrica Goin' Down South, sfociante nel palpitare sincopato di JR, quasi a voler invocare i fantasmi di RL Burnside e Junior Kimbrough, ovunque essi siano. Sulle note della seconda assistiamo ad uno “scambio volante” di strumenti, tra Luther e Malcom, con quest'ultimo a prendersi anche il microfono in un'ipnotica, kimbroughiana All Night Long, prima di far ritorno al proprio “ruolo primario” in una micidiale Let My Babe Ride con la quale i tre salutano, dopo averci fatto rivivere la magica atmosfera che si respira ogni anno al North Mississippi Hill Country Picnic. Un set adrenalinico dal notevole impatto, con un unico difetto, la durata alquanto risicata, che ha lasciato l'amaro in bocca in quei, purtroppo pochi, astanti accorsi per assistere al concerto dei terribili fratelli Dickinson. D'altra parte il piatto forte non è di provenienza statunitense ma bensì albionica, come ricordato da quella che sarà la copertina di Lullaby And...The Ceaseless Road, album di prossima pubblicazione del protagonista della serata, il cui artwork campeggia sul palco. E Robert Plant non si fa certo attendere e acclamato a gran voce fa il suo ingresso sulle note pizzicate della chitarra acustica di Liam Tyson, per ammutolire subito la piazza con una struggente, intensa versione di Babe I'm Gonna Leave You. É un uomo dal passato, musicale, leggendario quanto “ingombrante” il biondo crinito cantate inglese, ma questa sera ha dimostrato di saperlo esorcizzare con estrema classe, e con una voce alla quale il tempo ha sì limitato in parte l'estensione ma ha donato anche nuove, calde tonalità. Non solo un salto temporale, nel proprio passato sonoro, ma anche geografico quello compiuto stasera, con i Sensational Space Shifters come fedeli compagni di viaggio. Un viaggiare spazio-temporale che ha in più d'un occasione affiancato il vecchio Dirigibile, pur mantenendo inalterata la propria rotta verso nuovi, futuristici confini sonici. Un immaginifico itinerario che dall'Aberdeen di Bukka White e la Chicago di Willie Dixon, passando per la natìa Gran Bretagna, si è sporcato tanto con la polvere del deserto africano che con sintetici loop elettronici. A conferma di ciò basta osservare il trattamento riservato a Black Dog, trasformata in un melismatico declamare ancestrale, che il percuotere dei tamburi di Dave Smith e il pulsare del basso di Billy Fuller, con il riti (il violino ad una corda) e i vocalizzi di Juldeh Camara avvicinano alle sonorità desertiche dei Tinariwen. Sono proprio i “souvenir sonici” dei trascorsi di Plant in Mali ad emergere maggiormente tra le trame d'una amalgama musicale di difficile catalogazione. D'altra parte sarebbe castrante quanto inutile confinarlo entro rigidi steccati stilistici, bisogna solamente abbandonarsi al turbinio di suoni, antichi e moderni, sapientemente miscelati da uno sciamanico Plant e dai suoi “seguaci”. Come quelli innervanti l'evocativa Rainbow, primo estratto dal futuro Lullaby And...The Ceaseless Road, ed aperta dal battere collettivo dei bendir. Going To California, affidata al solo picking della chitarra di Tyson e al mandolino di Adams, mantiene intatto tutta la sua pastoralità folkie, mentre What Is And What Should Never Be ammalia con la sua sognante aura melodica prima di venire squarciata da un spigoloso rifferama pregno d'elettricità. E che dire di una Spoonful tra indiavolata possessione blues e gli algidi tocchi delle tastiere di John Baggott, o di una Fixin To Die prelevata dal songbook di Bukka White e trasformatasi in una sussultante country song futurista, con un infervorato Justin Adams che pare un Brian Setzer sotto anfetamina? Bisogna solo ascoltare in rispettoso silenzio e giovarsi di poter assistere a così tanta grazia interpretativa. Grazia che raggiunge il suo culmine nella rilettura di un altro tradizionale, Little Maggie, (anch'essa nella tracklist dell'album di prossima pubblicazione) capace d'unire ad un substrato melodico-ritmico figlio della grande Madre Africa, intessuto nuovamente dal riti e dal koloko, ai quali si aggiunge il banjo appalachiano di Tyson, il lirismo epico della tradizione musicale americana; così come in una stupefacente Whole Lotta Love, dal melmoso, lento incipit bluesato, prima di lasciare esplodere quel riff che ha marchiato a fuoco la storia del rock'n'roll, per poi omaggiare Elias Bates McDaniel, in arte Bo Diddley, con un'acida citazione di Who Do You Love, rimandante ai Quicksilver Messenger Service di Happy Trails. I sette abbandonano il palco tra gli applausi scroscianti, ma visto il rumoreggiare della folla non tardano a far ritorno in scena, per proporre un altro brano inedito, Pocketful Of Golden, avvolto, ancor una volta, da sensuali armonie africane, aumentando ancor di più la curiosità per il nuovo lavoro in studio. “Ed ora un'altra canzone per chiudere questa magnifica serata”, dice Plant, “una vecchia, vecchia canzone folk dalla zona di Pistoia”. Neanche il tempo di cercare di capire che razza di brano potrebbe essere che le note immortali di Rock And Roll mandano in delirio tutti i presenti (con tanto di reggiseno lanciato sul palco tra lo stupore dello stesso Plant), portando il Dirigibile a sorvolare per un'ultima volta sopra i cieli di un continente africano mai sembrato così vicino. Due concerti a dir poco magnifici quelli ai quali abbiamo avuto la fortuna di assistere stasera, con i North Mississippi Allstars a confermarsi a dir poco micidiali on stage, e un Robert Plant alla cui gigantesca statura artistica non resta che inchinarsi in segno di profondo rispetto.




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