venerdì 18 luglio 2014

Chuck Ragan - Till midnight

(Pubblicato su Extra! Music Magazine)



Con rumorosi trascorsi tra le fila della post hardcore band Hot Water Music, Chuck Ragan è stato come folgorato, qualche anno or sono, non sulla biblica via di Damasco, quanto sullo sterrato d'una sperduta rural route statunitense. Una “conversione” acustica che dapprima l'ha visto affiancare alla band “madre” un side project, a nome Rumbleseat, di più sommessa estrazione folk, fino a quando, conclusasi la summenzionata esperienza collettiva, ha intrapreso un nuovo, solitario cammino, a proprio nome. Un'avventura solistica dove, tuttavia, permanevano, e permangono tuttora, roventi reminiscenze del proprio passato da punk rocker, riscontrabili tanto nel tipo di trattamento riservato agli stilemi Americana, riletti con sanguigno ardore, quanto in una ruvida voce dalla scorticante liricità. Sarà stata inoltre la frequentazione di “canaglie” del calibro di Ben Nichols, Craig Finn e Jesse Malin, compagni di scorribande musicali in un orgiastica serie di date, oppure il riavvicinarsi con i vecchi “compagni d'armi” degli Hot Water Music, ma Ragan sembra, perlomeno a giudicare da quanto contenuto nell'odierno Till Midnight, aver iniettato, in tempi recenti, una nuova, robusta dose d'adrenalinica elettricità in un, a dire il vero, già inquieto nervosismo rootsy. Registrato in quel di Los Angeles, sotto la supervisione dell'ex Blind Melon Christopher Thorn, con il supporto degli ormai fidati Camaraderie (ai quali si aggiunge la new entry dietro ai tamburi David Hidalgo Jr), l'album si avvale inoltre del contributo vocale di numerosi ospiti, tra i quali meritano una menzione il succitato Ben Nichols dei Lucero e Rami Jaffee dei Wallflowers, a creare un muro di corale vocalità, poggiante su solide fondamenta di malta elettroacustica. Un approccio compositivo ed esecutivo, quello del songwriter texano, fattosi quindi ancor più muscolare che in passato, il tutto a discapito di quell'espressività spoglia e genuina caratterizzante i suoi primi lavori da “titolare”. Sono per l'appunto i, purtroppo sparuti, episodi sonori riconducibili a quest'ultimi a brillare per bellezza di scrittura e fascino evocativo, come una ruspante Bedroll Lullaby, connubio, decisamente a fuoco, fra terrigni sentori Americana, evocati dal violino di Jon Caunt e dalla pedal steel di Todd Beene, e la febbrile, lacerante interpretazione vocale raganiana; oppure l'accorata supplica folk di Wake With You, fino ad una conclusiva, distesa For All We Care, dal finale, in crescendo, irto di spigolosità elettriche. Altalenante è invece l'esito quando il nostro decide di puntare tutto sui muscoli, martoriando i propri originari spartiti acustici con bruschi, crepitanti scossoni rockisti, in una rabbiosa, quanto spesso insensata, foga esecutiva. E se l'opener Something May Catch Fire così come la successiva Vagabond, pur modellate su di una ben calibrata costruzione del climax, sembrano altresì fare il verso, vocalmente e non, tanto al suo illustre “collega” del New Jersey, tal Bruce Springsteen, quanto al graffiare del “felino” John Mellencamp, nel country demolito e sfasciato di Revved o in una Gave My Heart Out dall'eccessiva enfasi declamatoria, sono le stesse architetture raganiane a mostrare invece più di uno scricchiolio strutturale. Nel suo voler essere, a volte forzatamente, ‘sopra le righe’, Till Midnight pare concepito per essere riproposto, tra litri di sudore versato e di alcol bevuto, sulle assi di un palcoscenico, senza dubbio dimensione ideale nella quale dar sfogo alla dirompente carica interpretativa del nostro. Un album che farà sicuramente la gioia degli springsteeniani più incalliti, così come dei seguaci del Coguaro di Bloomington, ma al contempo lascerà con l'amaro in bocca coloro che avevano conosciuto, e apprezzato, Ragan ai suoi esordi.


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