sabato 15 febbraio 2014

Saluti da Saturno - Dancing Polonia

(Pubblicato su Extra! Music Magazine)  

Dopo due, ben accolti, lavori (Parlare con Anna e Valdazze) Mirco Mariani naviga sicuro, con il proprio progetto artistico, verso l'approdo del terzo album. Una rotta stralunata quella tracciata dal romagnolo, frutto d'un anima cantautorale tanto inquieta nel suo cercare la propria, fisica, valvola di sfogo, tra i righi d'un pentagramma, quanto poi parca e misurata una volta ascritta su quest'ultimi. Un percorso, oggi caratterizzato da un parziale scarto di lato, abbandonando il Pianobar Futuristico Elettromeccanico, in favore di un Free Jazz Cantautorale, come definito dallo stesso Mariani, dove il pianoforte ha soppiantato l'amato Optigan. Proprio i “canonici” tasti bianchi e neri assurgono a vero e proprio cardine strumentale intorno al quale volteggiano sognanti scampoli melodici, calde sonorità sudamericane e sperimentalismo sonico di mai invadente rumorosità. Un superbo pastiche figlio tanto della tradizione della propria terra d'origine, la Romagna, quanto dei suoni e dei rumori fatti propri grazie alla frequentazione di artisti dalla spiccata personalità, Vinicio Capossela su tutti, ai quali il nostro ha prestato in passato il proprio estro percussivo. Dall'istrionico cantautore di Hannover, Mariani ha mutuato anche la passione per i più stravaganti “oggetti sonori”, tanto da utilizzare, durante le sedute di registrazione di Dancing Polonia, Ondioline, Ondes Martenot, Glassamornica, Cristal Baschet e Mellotron, affiancandoli a pianoforti “preparati” per l'occasione, il cui atipico tessere melodico è quantomeno fondamentale per l'empirica economia sonora dell'intero lavoro. A tutto ciò si aggiunge la presenza di alcuni ospiti, quali Paolo Benvegnù, Alessandro “Asso” Stefana, Arto Lindsay e il thereminista Vincenzo Vasi, i cui pregevoli contributi rappresentano senza dubbio un ulteriore valore aggiunto. E' tuttavia la grezza “materia prima” a brillare di luce propria, frutto di un songwriting affinatosi lavoro dopo lavoro, e capace di mostrarsi, una volta di più, in tutto il proprio squisito minimalismo, cesellando piccoli bozzetti dalla cangiante fragilità, come l'addolorata ballata Le luci della sera, dove fa la propria comparsa, vocale, Paolo Benvegnù, o il conclusivo, gioioso, ricordo matrimoniale di Anniversario. Le succitate frequentazioni caposseliane si avvertono, invece, tanto nelle morbidezze pianistiche di una carezzevole Di notte, ad accompagnare gli ultimi, indistinti, attimi prima di un serale viaggio ad occhi chiusi, quanto nel sensuale danzare, a tempo di tango, di La vita mia (vodka lemon), ispirata all'omonimo film del regista armeno Hiner Saleem. Deliziosa nella sua limpidezza compositiva è Venere, un vellutato centellinare note, tra introspezione cantautorale e brulichio modernista, intorno ad un'interpretazione vocale di struggente esilità, mentre la radiosa vivacità caraibica di Canzone di cera ricorda, viceversa, le opere soliste di Van Dyke Parks, esplorativi viaggi della tradizione musicale di Trinidad e Tobago. Una maggior propensione all'osare emerge, al contrario, nel tribalismo disturbato di Ombra, anch'essa dai natali cinematografici, traendo spunto dal lungometraggio L'uomo che verrà di Giorgio Diritti, così come nelle dissonanti ondulazioni ritmico-armoniche della titletrack. Un immaginifico locale d'altri tempi, Dancing Polonia, entro le cui mura si respira l'aria delle vecchie balere romagnole, tra lucidi tavolini, bevande dai mille colori, ballerini avvinghiati stretti stretti, e una procace barista dietro al bancone, con un piccolo palco, dove ogni sera si ritrova una scalcinata orchestrina, annoverante tra le proprie fila, tra gli altri, Vinicio Capossela, Secondo Casadei e Ornette Coleman, condotta da Mariani in una notturna jam session, che si protrae fino ai primi raggi di sole di un giorno nuovo.



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