giovedì 26 dicembre 2013

Wild Bones - The road to Memphis

(Pubblicato su Extra! Music Magazine)

Formatisi nel 2009, i ragusani Wild Bones hanno letteralmente bruciato le tappe di un percorso geografico-musicale che, dalla nativa Trinacria, li ha visti sbarcare nientemeno che negli Stati Uniti. Una terra, quest’ultima, sognata dalla quasi totalità di coloro che, nati al di fuori del territorio a stelle e strisce, decidono d’imbracciare uno strumento musicale; ed ancor più agognata se il genere al quale si è deciso di dedicare la propria “missione” è il blues. Appartengono a questa “parrocchia” gli stessi siciliani, influenzati tanto dal lamentoso stridore deltaico, quanto da ben più muscolari sonorità elettriche, figlie bastarde di quel blues, al quale il Lone Star State ha dato i natali. Un amalgama, quello approntato dal quartetto, che li ha portati a primeggiare alle selezioni italiane dell’International Blues Challenge, tanto da guadagnarsi l’onore di rappresentare gli italici colori alle finali della medesima competizione, tenutesi proprio in territorio statunitense, in quel di Memphis. E quasi fosse un esorcizzante rituale scaramantico, il quartetto, poco prima di imbarcarsi per l’inaspettato viaggio oltreoceano, decide di dare alle stampe il proprio album d’esordio, l’autoprodotto ed emblematicamente intitolato The Road to Memphis. Un lavoro nel quale la cifra stilistica del combo viene esposta nelle sue più diverse sfaccettature, siano esse rocciose digressioni chitarristiche, in odore di Texas blues, quanto clangori metallici d’arcaica discendenza. Un connubio intrigante, perlomeno sulla carta, visto che la perizia tecnica, sia dei singoli, che del combo nel suo insieme, messa in luce dallo stesso album, non trova qui sbocco in brani d’autografa composizione, ma si limita ad una, spesso pedissequa, imitazione dei propri “padri putativi”. Ne è esempio l’iniziale, “zztopiano”, trittico, dove tra il boogie al testosterone di Tush e La Grange, e una torrida She’s Just Killing Me, i nostri si muovono fin troppo fedelmente sulla via tracciata dal barbuto trio di Houston. Reminescenze deltaiche affiorano, dal canto loro, tanto in Walkin’ Blues, a “scomodare” un fantasma, quello di Robert Johnson, che pare non riuscir davvero a godere del proprio, eterno, riposo; quanto nello sferragliare country blues, dell’ennesima riproposizione di Rollin’ and Tumblin’. Decisamente più apprezzabile è l’inclusione di Good Time Charlie, umorale pulsare in bilico tra funky e soul, opera della penna di Bobby Blue Bland, nonchè sintomatica di un seppur minimo tentativo di ampliare il proprio ventaglio sonoro, ulteriormente rimarcato da una breve, strumentale, quanto riuscita ripresa della bonamassiana The River, lancinante esercizio per il bottleneck di Davide Sittinieri. Nel loro cammino verso Memphis, i Wild Bones hanno, senza ombra di dubbio, affinato una notevole solidità e compattezza sonora, ben avvertibili tra solchi di questa loro opera prima, dove è, tuttavia, altrettanto evidente la mancanza di una ben formata personalità.

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