lunedì 9 dicembre 2013

Gto - Little Italy

(Pubblicato su Extra! Music Magazine)

Attivi da più di vent’anni, i GTO giungono, con un percorso musicale condotto, a passo deciso, su di una strada lastricata di solidi mattoni folk’n’roll, al traguardo, ragguardevole, del quinto album. Una musica, quella dell’ensemble umbro, capace di far riflettere ballando, strappando allo stesso tempo un sorriso, senza cadere nella mera scopiazzatura degli stilemi d’italico folk, combattente e non, in questi anni depredati invece, con risultati spesso alterni, da più d'una compagine. Pur essendo presenti tracce dei saltelli elettroacustici a marchio Bandabardò, così come le digressioni percussive terzomondiste dei Ramblers emiliani, i nostri dimostrano ancor una volta la propria, inflessibile, devozione al verbo del folk’n’roll, variegando, tuttavia, i propri pentagrammi con richiami alla tradizione cantautorale autoctona, e luccicanti melodie, dal flavour pop. Su quest'improbabile patchwork stilistico sembra essere costruita l’opener Barabba, forse, a tratti, fin troppo ridondante nel suo assiepare ardire ritmico in levare, inserti fiatistici e sprazzi recitativi. Di ben altra pasta è la successiva Il Rude, dove pare di ascoltare una tetra rilettura, di un brano deandreiano, ad opera di Marino Severini, accompagnato alla chitarra acustica da Martin Gore, in libera uscita modiana. Una voce, quella di Stefano Bucci, frontman degli umbri, che presenta più d’una somiglianza proprio con quella del summenzionato Severini, come, ulteriormente, messo in luce nella conclusiva Festa Popolare, ruspante “caciara” folk’n’roll che non sfigurerebbe nel repertorio degli stessi Gang. La voglia dei nostri di “sporcare” il proprio primigenio tessuto sonoro si manifesta tanto nella conturbante title track, analisi socio-musicale del nostro “piccolo paese”, quanto nello sconfinamento balcanico di Lumea Mea Este, dove, con più cura, vengono calibrati, i vari apporti strumentali. Sono le atmosfere del border americano, invece, ad avvolgere una Granelli Di Sabbia di desertico, calexichiano, lignaggio. La fisarmonica di Luigi Bastianoni, tanto con il suo mantico ansare latino in Montedoro, quanto con il contrapporsi lieve all’elettricità della sei corde, nella mossa bellezza della pianistica Cielodivento, spicca senza dubbio per importanza all’interno dell’economia sonora del combo, diventandone anzi vero e proprio elemento peculiare. Un album sicuramente piacevole all’ascolto, Little Italy, con alcuni guizzi di penna, nonchè strumentali, più che pregevoli, ma inficiato, in parte, da una produzione a tratti un po’, troppo, “laccata”.

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