giovedì 10 ottobre 2013

Ry Cooder and Corridos Famosos - Live in San Francisco

(Pubblicato su Extra! Music Magazine)

Se la ritrovata vena compositiva di Ry Cooder ha permesso, nell’arco dei soli ultimi due anni, di poter assaporare una “doppietta” di lavori in studio quali l’ottimo Pull Up Some Dust And Sit Down e l’altrettanto ispirato Election Special, ‘manifesto politico-sonoro’ pubblicato in concomitanza con le elezioni presidenziali americane, il nostro è sempre stato, al contrario, avaro nel rilasciare testimonianze della propria attività concertistica. Un solo documento dal vivo fa infatti capolino tra le fitte maglie di una discografia egualmente divisa tra album a proprio nome, colonne sonore e collaborazioni tra le più disparate. Registrato il 14 e 15 dicembre 1976, presso la Great American Music Hall di San Francisco, ed emblematicamente denominato Showtime, rimane tuttora fulgida testimonianza tanto della perizia sulle sei corde del chitarrista di Santa Monica, quanto fedele fotografia di un itinerario sviluppatosi sulle più differenti strade sonore, sì indissolubilmente legato alla tradizione musicale del proprio paese, tanto bianca quanto nera, ma con un orecchio rivolto in più d’un occasione oltre il confine, verso quel Messico dai caldi colori musicali, per spingersi infine tanto verso la solarità della musica hawaiiana, quanto attraverso l’Oceano, alla ricerca dell’ancestrale e poliritmico percuotere africano; il tutto grazie ad una mai sopita curiosità etnomusicologica, elemento peculiare della stessa estetica cooderiana. Una contaminazione tra le più differenti culture che ha dato vita, fin dal proprio esordio discografico, ad un amalgama sonoro diventato un vero e proprio trademark del nostro, permeante lo stesso Showtime, in uno strabiliante connubio in musica tra Stati Uniti e Messico.Ed oggi, ben 37 anni dopo, viene finalmente dato alle stampe quello che, a tutti gli effetti, può esserne definito la naturale prosecuzione; non solo perché Ry Cooder ha optato per un ritorno sul “luogo del delitto”, la Great American Music Hall, chiamando per l’occasione a raccolta anche due vecchi “pards”, Flaco Jimenez e Terry Evans, già con lui sul quel palco 37 anni prima, quanto per la riproposizione di alcuni dei brani che costituivano l’ossatura live di allora, e che oggi paiono assurgere a nuova vita. Incurante delle 66 “primavere” trascorse il nostro dimostra anzi come il proprio delizioso tocco, sulle corde dell’amata chitarra elettrica, non abbia perso l’espressività e la potenza evocativa di un tempo, incantando letteralmente ad ogni singolo accordo o fraseggio. A colpire è nondimeno l’istrionismo di Cooder, tanto nelle sue, talvolta esilaranti, presentazioni dei singoli brani, quanto nell’interagire sia con la platea che con i membri della propria band. Quest’ultima, viste le dimensioni, è in realtà un vero e proprio collettivo, capace di assecondare il proprio “capo banda” in maniera egregia, ed annoverante tra le proprie fila, oltre ai già citati Jimenez e Evans, le voci di Arnold McCuller e Juliette Commagere, affiancati dalla solida sezione ritmica affidata al basso di Robert Francis e alla batteria di Joachim Cooder, alla quale si aggiungono i variopinti contributi armonici e percussivi del combo messicano noto come La Banda Juvenil. Una nutrita schiera di musicisti quindi, presenti già sul recente album in studio, Pull Up Some Dust And Sit Down, tanto che non sorprende ritrovare, inclusi nella scaletta, due brani estrapolati proprio da quest’ultimo. L’incipit del concerto è tuttavia un tuffo negli anni Ottanta, tra i solchi di quel Borderline dal quale il nostro recupera una Crazy ‘Bout An Automobile d’irrefrenabile vitalità, complice un vibrante riff chitarristico e l’apporto tanto delle idilliache voci di Evans e McCuller, quanto degli interventi fiatistici della Banda, ad impregnare il tutto d’umori soul, altresì acuiti in una Why Don’t You Try Me d’energica spavalderia rhythm and blues. E se il primo tuffo al cuore si avverte con una Boomer’s Story che si dischiude lentamente in tutta la propria elegiaca bellezza, per sublimarsi in un finale a cappella da mozzare il fiato, l’ironia beffarda di Lord Tell Me Why, sorta di gospel funk modernista nonché prima concessione alla produzione recente, mostra come la “penna cooderiana” equivalga in peso specifico la propria abilità d’arrangiatore ed interprete.Sfido poi a trattenere una lacrima di commozione quando il nostro presenta lo storico compagno di avventure, Flaco Jimenez, il cui accordion ci accompagna, sulle note di Viva Seguin, al di là del confine messicano, per poi tornare a guardare a quella “paradisiaca meta” chiamata California, in un medley con la guthriana Do Re Mi, già presente su Showtime, a rimarcare il profondo legame con il folksinger di Okemah. Se una sfavillante e gioiosa School Is Out, così come una Wolly Bully al limite dell’orgiastico, ripescata dal songbook di Domingo Zamudio aka Sam the Sham, alzano il tasso ritmico della serata, le “corde emozionali” degli astanti vengono scalfite da una The Dark End Of The Street d’inusitato splendore, con le voci di Evans e McCuller ad inseguirsi in pindarici vocalizzi, per infine unirsi in eccelse armonizzazioni, arricchite ulteriormente dai sontuosi interventi solistici della chitarra e dell’accordion. Strumento quest’ultimo protagonista anche in El Corrido De Jesse James, ispirato alla leggendaria figura dell’outlaw, con i fiati mariachi della Banda a soffiare con forza, prima di abbandonarsi allo struggimento “ranchero” di Volver Volver, affidata alla suadente voce di Juliette Commagere. Una nervosa Vigilante Man è un ulteriore omaggio a Woody Guthrie e alla, purtroppo drammatica, attualità della sua opera, con un Cooder quasi posseduto alla chitarra, prima di lasciar scorrere libero il proprio bottleneck lungo le sei corde, ben sostenuto dal substrato ritmico di basso e batteria. La chiusura è affidata invece ad una corale Goodnight Irene, una delle tante gemme incise da Huddie Ledbetter, nonché ideale commiato su di un leggiadro tempo di valzer. Saranno occorsi pur 37 anni, ma il documento sonoro che oggi abbiamo tra le mani descrive al meglio la storia e la vita artistica di un musicista capace di trascendere con la propria bravura confini stilistici e di genere, assorbendo come una spugna suoni e ritmi dei più vari per poi rileggerli con una perizia ed un gusto attualmente ancora senza eguali. Un live album la cui perfezione può tranquillamente essere riassunta con le parole pronunciate dallo stesso Cooder dopo l’ennesima prestazione vocale da manuale di Evans e McCuller……”Fantastic, fantastic”.

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