domenica 20 ottobre 2013

Laura Veirs - Warp and weft

(Pubblicato su Extra! Music Magazine)

La maternità sembra davvero aver giovato, anche artisticamente, a Laura Veirs; se al primogenito era, idealmente, dedicato il precedente Tumble Bee, scintillante divertissement contenente brani d’ascendenza folk, destinati ad un pubblico infantile, oggi con la nascita del suo secondo pargolo, vede, infatti, la luce anche il nuovo album della songwriter di Portland. Figlio della sua recente produzione, Warp And Weft può essere visto come il naturale prosieguo del discorso sonoro imbastito tre anni fa con l’ottimo July Flame. Abbandonando in parte la componente freak che ne aveva contraddistinto gli esordi, la Veirs ha trovato oggi la quadratura del proprio cerchio musicale in un alternative folk più “adulto”, dai toni e tratti gentili, lievemente screziato da piccoli squarci elettrici e minimali digressioni sperimentali. Una maturazione sonica mossasi parallelamente a quella come donna e madre, come si evince da un’analisi delle liriche odierne, intrise delle paure e delle ansie, così come della gioia e della speranza, che la nascita di una nuova vita reca con sé. Con il consorte Tucker Martine ormai presenza fissa, tanto al bancone di regia quanto dietro i più disparati strumenti percussivi, Warp And Weft vede, come il precedente Tumble Bee, l’alternarsi di un piccolo manipolo di “vecchi amici”. Tra quest’ultimi spicca senza dubbio la presenza di Neko Case, a tinteggiare ulteriormente di tonalità pastello una radiosa Sun Song, costruita su di un abbacinante impianto elettroacustico, ad opera di banjo, pedal steel ed una piccola sezione d’archi, con il pizzicare gentile delle corde di nylon, della chitarra della stessa Veirs, a far da contraltare al superbo intrecciarsi della sua voce con l’evanescenza di quella della Case. Maggior spazio all’elettricità viene invece concesso tanto nel solenne crescendo armonico di America, dura disamina sulle contraddizioni dell’odierna società americana, quanto in That Alice, sentita dedica all’amata figura di Alice Coltrane che, per il marcato incedere, ricorda tuttavia i brani di maggior irruenza rock della recente produzione, in combutta con la sei corde “remmiana” di Peter Buck, dei propri concittadini Decemberists. Fioriscono in una tranquilla oasi acustica, piccoli, tenui, boccioli come l’acquerello, d’ondulante leggiadria, Shape Shifter, o l’omaggio all’artista Howard Finster di Finster Saw The Angels, per sole chitarra, fisarmonica e pedal steel, con kd Lang alle backing vocals. E se i brevi intermezzi strumentali, Ghosts Of Louisville e Ikaria, paiono i frutti d’uno sperimentale raccolto sonico, in Sadako Folding Cranes, scritta in memoria di Sadako Sasaki (bambina giapponese sopravvissuta al disastro nucleare di Hiroshima, ma morta di leucemia dieci anni dopo a causa delle radiazioni) e dei suoi origami per la pace, riecheggiano fluttuanti melodie orientali, ulteriormente enfatizzate, nella coralità finale, dalla trascendente vocalità di Jim James. La carezzevole Ten Bridges sembra invece librarsi leggiadra sulle ali d’una farfalla dalle iridescenze folkie, verso gli inesplorati cieli musicali della conclusiva, sontuosa, White Cherry, che fa propri gli stilemi del jazz modale, rileggendoli attraverso l’ottica modernista veirsiana, in un dissonante, quanto al contempo armonioso, connubio tra soffiare coltraniano, morbidi tappeti pianistici e suggestioni cameristiche, il tutto su di un flessuoso lievitare percussivo. A rifulgere di luce propria, sono tuttavia tanto la perizia compositiva dell’occhialuta musicista di Portland, mai forse così ispirata come oggi, quanto la sua stessa voce che, con la consueta flebile malia, sa insinuarsi lenta, sotto pelle, per giungere infine a lambire gli anfratti più reconditi dell’anima. Un’artista da amare incondizionatamente Laura Veirs, con la certezza che difficilmente spezzerà il nostro cuore musicale, ma lo saprà altresì riscaldare con il rilucente splendore di piccole gemme come, appunto, Warp And Weft.

Nessun commento:

Posta un commento