sabato 20 aprile 2013

Quinzan - Venì, venì e mi amore

(Pubblicato su Extra! Music Magazine)


Contadino biologico, vignaiolo e musicista, Pietro Bandini pare vivere in profonda simbiosi con la propria terra, quella Romagna amata, coltivata, ed infine anche cantata, prima in un esordio a proprio nome, e poi sotto lo pseudonimo di Quinzan, in due album, U ‘n Piov e Lòm a Merz (quest’ultimo aggiudicatosi tra l’altro il premio MEI quale miglior disco dell’anno della propria regione), caratterizzati da liriche in forma dialettale. Sulla medesima scia si pone anche Venì, Venì e Mi Amore, che riesce nel non facile intento di racchiudere in un’unica tavolozza i colori musicali di una regione, l’Emilia Romagna per l’appunto, da sempre pregna delle più disparate sonorità. Un album caratterizzato da un profondo lavoro di ricerca etnomusicologica, in una pentagrammatica
esplorazione di arcaici canzonieri popolari, recuperando e musicando vecchie filastrocche e perduti brani tradizionali; ampliando al contempo il raggio uditivo del proprio “orecchio indagatore”, verso più moderni spartiti, in una trasposizione vernacolare di composizioni di illustri “colleghi”, nostrani e non. Ad aiutare, musicalmente, il nostro, troviamo un folto ensemble di musicisti, il cui contributo strumentale è oltremodo fondamentale nello creare trame musicali d’altri tempi. L’intero album è, nell’intenzione dell’autore, impostato come un’escursione sonora all’interno di un singolo giorno, dal risveglio fino allo scendere della notte, in un bucolico spaccato di vita quotidiana, con la voce dello stesso Quinzan come unica narratrice. Una giornata che ha il suo inizio, ovviamente al mattino, prima incontrando Giovan Trabiccola, in una giocosa filastrocca dove, sul saltellante percuotere dei tasti del pianoforte e delle lamelle del glockenspiel, Quinzan gigioneggia vocalmente, accompagnato da un coro di bambini; poi facendo visita ad una fanciulla, in attesa del proprio amato, in Venì, Venì e Mi Amore, dove la terra romagnola viene sferzata dalle polverose arie del border americano, in un “liscio desertico”, che ricorda quanto fatto, in tempi recenti, dai suoi conterranei Sacri Cuori. Spicca per splendore In Paradìs, impeccabile rivisitazione in romagnolo della morrisoniana Jackie Wilson Said, alla quale replica poco più avanti la cavalcata folk Quinzan e Piripaja, composta sulla musica della Camouflage di ridgwayiana memoria. Se Il Grillo e La Formica si rifà alla tradizione bandistica, con la festosa presenza di una vera e propria banda, quella dei Musicanti di San Crispino; nel lento valzer In Priest si respirano, sulle note del violino e del clarinetto, profumi balcanici. L’opera di “romagnizzazione” quinzaniana non risparmia neppure il cantautorato nostrano, tanto che il nostro si diverte a far propria l’irresistibile Per Un Basin (che qui diventa Per Un Basì), estrapolata dal surreale repertorio dell’immenso Enzo Jannacci. Con il progredire dell’ascolto si susseguono anche le varie fasi della giornata, fino ad arrivare ai primi chiarori della sera, ed a una ninnananna, Din Don, dove il dolente scorrere del bottleneck di Mirko Monduzzi incontra gli arabeschi sonori della fisarmonica, con Quinzan a duettare con l’incantevole voce di Luisa Cottifogli. L’appropinquarsi delle tenebre viene invece salutato da Serena Bandoli nel declamatorio incipit di La Nòt, vespertina ballata elettrica nata sulle parole dell’omonima poesia del santarcangiolese Nino Pedretti; prima di un ultimo omaggio, con Stuglè, in compagnia dei Radìs, al comune suolo natio. Una passeggiata musico-temporale che, non solo affascina, grazie alle proprie incantevoli ed intriganti melodie, ma al contempo instaura nell’ascoltatore il desiderio, una volta conclusasi questa “giornata in musica”, di risvegliarsi nuovamente in una Romagna d’altri tempi ma mai forse così, almeno musicalmente, vicina.

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