lunedì 8 aprile 2013

Billy Bragg - Tooth and nail

(Pubblicato su Extra! Music Magazine)

L’integrità artistica, nonché umana, par oggi essere qualità quanto meno rara, perlopiù in un mercato, quello discografico, dove lo svendersi al miglior offerente è l’unico modo di ottenere un seppur effimero successo. Esula fortunatamente, da quanto poc’anzi affermato, Billy Bragg, artista che sull’integrità ha modellato invece un’intera carriera musicale, tra attivismo politico e impegno civile, ormai quasi trentennale. Anni passati a cantare della e per la gente, unendo ad un impeto al limite del punk, la canzone di protesta d’estrazione folk, sulle orme di un maestro, Woody Guthrie, la ombra sonora da sempre lo accompagna. Un cammino musicale arduo e irto di ostacoli, ma non avaro di gratificazioni; ultima, in ordine di tempo, il progetto cui Mermaid Avenue, che vedeva il bardo di Barking impegnato, in compagnia dei Wilco, a riportare alla luce alcune liriche, proprio del tanto amato Guthrie, rimaste, orfane delle sette note, sepolte in polverosi archivi. Album, quelli nei quali si è cristallizzato il progetto, di enorme valore storico-musicale, tanto nel loro gettare nuova luce sull’opera del cantore di Okemah, quanto nel riappropriarsi di quel caleidoscopico ventaglio sonoro che è la musica statunitense. Un’esperienza quest’ultima che deve aver segnato profondamente il buon Bragg, al punto da spingerlo, nella stesura del nuovo ed autografo Tooth And Nail, a persistere nella medesima direzione. Lontano dalla rabbia battagliera e dai clangori elettrici degli esordi, Bragg pare infatti mettere a nudo la propria anima da folksinger, traendo ispirazione, tra agresti melodie, tanto dalla classica ballata folk, quanto dal country e dal blues. Ad aiutare il nostro troviamo, in cabina di regia, nientemeno che Joe Henry, produttore di comprovata bravura, il quale appronta il consueto parterre de roi di musicisti dove, alla perizia tecnica, alle corde più disparate, di Greg Leisz, si affiancano il tocco delicato sui tasti bianchi e neri di Patrick Warren, e il mai invasivo percuotere della batteria di Jay Bellerose e del basso di David Piltch. Risultato di cotanti apporti strumentali è un tessuto musicale dai toni seppiati, di matrice acustica, letteralmente cucito intorno ad una voce, quella di Billy Bragg, mai così autentica e profonda nel suo cantare delle esperienze accumulate in una vita, vissuta sempre intensamente. Il proprio rapportarsi con la vita stessa, l’amore e la spiritualità, questi gli argomenti che imperniano testi di straordinaria intensità lirica, in un riflessivo scavare all’interno del proprio Io. Vedono così la luce brani di adamantina bellezza come il raccoglimento folkie di January Song, la placida slow country ballad Chasing Rainbows, fino alla dimessa melanconia di Goodbye, Goodbye. Al centro della narrazione vi è quel folk da sempre ideale veicolo sonoro attraverso il quale esprimere sentimenti e frustrazioni, come avviene nella spirituale Do Unto Others, sorta di personale reinterpretazione biblica in chiave ragtime, o nel lento ciondolare di una Handyman Blues al limite dell’ironia. Pregevoli poi i contributi testuali portati in dono da Joe Henry, tanto nel livido languore di Over You, con un Leisz a dir poco magistrale nel far scorrere il proprio bottleneck, quanto nello splendore melodico di una Your Name On My Tongue, a metà strada proprio tra la Mermaid Avenue e il Van Morrison delle “settimane astrali”. Una grazia sonora che accompagna anche una rilettura, con il cuore in mano, di I Ain’t Got No Home, uno dei brani più toccanti, quanto purtroppo di ancor tremenda attualità, tra quelli partoriti dalla penna di Woody Guthrie, del quale Bragg si conferma come il più valido erede. Se No One Knows Nothing Anymore, è un puro esercizio in stile Americana, con un’apertura nel finale verso rarefazioni cosmic country; sprazzi del passato combattente, perlomeno a livello sonoro, sembrano invece riaffiorare nella compattezza ritmica, venata da minimali sprazzi elettrici, di There Will Be A Reckoning, per poi tornare a stemperarsi nei toni smorzati di un, seppur ottimistico, commiato, affidato ad una Tomorrow’s Going To Be A Better Day, con tanto di spensierato fischiettio. Nel pieno della propria maturità Billy Bragg pare volersi mostrare per ciò che è veramente, un uomo nella sua più disarmante semplicità; il quale ha forse accantonato la propria irruenza combattiva, ma la cui anima è tuttavia ancor illuminata da una luce, quella della speranza, mai sopita; perché, nonostante tutto, “domani sarà un giorno migliore”.

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