giovedì 18 luglio 2013

Robinson Treacher - Porches

(Pubblicato su Rootshighway)

Nativo dello stato di New York, Robinson Treacher fin dai suoi primi passi nel mondo discografico - prima come frontman del combo soul rock Delaware Hudson, passando per collaborazioni in odore di alternative country con i Tensleep, fino alla pubblicazione di Chrome, suo primo vagito solitario - ha sempre utilizzato la propria musica quale ideale canale attraverso cui veicolare il proprio stato interiore, in un'intensità emotiva avvertibile sin da un primo ascolto. Se il debutto a proprio nome, il suddetto Chrome per l'appunto, mostrava un songwriting ancora tuttavia acerbo, oscillante in egual misura tra blues, soul e Americana, con il nuovo Porches il nostro acuisce maggiormente l'aspetto emozionale intrinseco alla propria musica, scarnificandone ancor più le architetture sonore, eliminando inutili orpelli ed arrangiamenti tronfi che avevano in parte penalizzato il suo predecessore. Musica, quella odierna, intimistica nella sua sparuta essenzialità, con la chitarra acustica e, soprattutto, l'espressiva voce di Treacher indiscusse protagoniste, assistite solamente dalle corde di un contrabbasso, o dai misurati interventi di una lapsteel, ai quali vanno ad aggiungersi, saltuariamente, minimali battiti percussivi. Sembra registrato proprio sotto uno dei portici menzionati nel titolo, Porches, in un clima raccolto e familiare, ideale dimensione per mettere a nudo le proprie ansie e i propri sentimenti, riversandole infine su di un pentagramma. Vedono così la luce composizioni d'ampio respiro, quali la soulful Good Mind To Keep You (If You'll Stay), dall'ottimo interplay tra le cadenzate pennate della sei corde acustica e il sincopato percuotere di quelle del contrabbasso, o lo struggimento di una One More Soul dalla carezzevole grazia. E se l'opener Hopali è una rivisitazione di un vecchio spiritual, con il solo sostegno di un coro e il battere ritmico di mani e piedi, in un crescente trasporto emotivo, Long Day, Good Night, si snoda invece, come la speculare Wishin, lungo polverosi sentieri country folk, tra il leggero spazzolare di un rullante e i malinconici disegni melodici di una lapsteel. Sono i toni parchi e sommessi a prevalere, come in This Ain't Life, sospesa tra il soave pizzicare dalle sei corde acustica e una voce dal sussurrato lirismo, o in Can't Call You Again, la cui lievità ricorda il soffiare gentile della brezza primaverile. In Gone Baby Gone, bozzetto acustico d'ascendenza folkie, il nostro cede il proprio posto dietro al microfono ad Anna Perkins, la cui prestazione vocale tuttavia non sfigura affatto in un ipotetico paragone con quelle del titolare. Blind Man's Blues, dall'inizio quasi in sordina, è invece una piacevole divagazione strumentale, in bilico tra country e blues, con Treacher impegnato, con buona padronanza, in un limpido fingerpicking. Un patchwork sonoro, quello contenuto tra i solchi di Porches, capace di coinvolgere l'ascoltatore grazie ad un affascinante minimalismo sonoro, che ne è al contempo tratto distintivo.

Nessun commento:

Posta un commento