lunedì 19 novembre 2012

Calexico @ Alcatraz - MIlano

(Pubblicato su Extra! Music Magazine)

Novembre porta in quel di Milano il primo grigiore autunnale, rendendo ancor più malinconica la città meneghina. E se fuori il freddo comincia a farsi a tratti pungente, a riscaldare cuori e anime dei propri accoliti, accorsi a stipare l’Alcatraz, ci pensano i Calexico. Il combo di Tucson torna infatti a calcare i palchi italiani per presentare il loro ultimo parto discografico, Algiers. Una data, quella di questa sera, cerchiata da tempo in rosso sul calendario, in quanto le sortite ‘calexichiane’ sono da sempre foriere di grandi emozioni, e anche in quest’occasione i nostri non hanno deluso le aspettative. Un delizioso antipasto è stato senza dubbio quello offerto dai Blind Pilot, indie folk band di Portland, che in un set breve ma emozionante hanno saputo mostrare la bontà della propria musica, strappando larghi consensi ad un pubblico più che partecipe. Guidati dalla lirica voce di Israel Nebeker, il quartetto ha proposto estratti dai loro due album, incantando i presenti con pregevoli armonie vocali, grazie anche all’apporto delle ugole del contrabbassista Luke Ydstie e di Karin Claborn, impegnata, tanto al banjo quanto al dulcimer, ad intessere al contempo eterei arpeggi. I quattro lasciano il palco sulle note di We Are The Tide (title track del loro ultimo disco) sulla quale fa la sua comparsa anche la tromba di Jacob Valenzuela. Giusto il tempo di un veloce cambio palco ed ecco entrare in scena il combo statunitense. Denominazione quest’ultima che appare tuttavia riduttiva nel descrivere l’organico dei Calexico, in quanto ci troviamo di fronte ad un collettivo, avente radici tanto negli Stati Uniti quanto in America Latina ed in Europa, che ha sempre fatto della propria multi etnicità uno dei suoi punti di forza. Sette i musicisti sul palco, e se il fulcro sonoro è come sempre la coppia Joey Burns - John Convertino, i cinque compagni al loro seguito non sono semplici comprimari ma elementi fondamentali nella creazione del “Calexico sound”.
Come era ovvio aspettarsi, quella di stasera sarà una scaletta incentrata prevalentemente su “Algiers”, dal quale Burns e soci andranno ad attingere a piene mani, mostrando come la bellezza delle composizioni in esso contenute, venga ulteriormente amplificata dalla dimensione live. Non mancherà tuttavia qualche ‘gustosa’ sorpresa, in quella che sarà una festa musicale multicolore, tra atmosfere ‘tex mex’, divagazioni desertiche, piccanti ritmi latini ed introspezioni soniche.
Se l’apertura affidata all’oscura Epic, opening track anche dell’ultimo Algiers, mostra il lato più riflessivo dei nostri, con Across The Wire ci ritroviamo in territorio messicano, con i fiati di Jacob Valenzuela e Martin Wenk a soffiare arie mariachi, accompagnati dalle note della steel guitar di Jairo Zavala. La suadente Roka, profuma invece di Sudamerica, impreziosita dall’apporto vocale di Valenzuela, che riesce nel non facile compito di non fa rimpiangere la mancanza della sensuale voce di Amparo Sanchez. Quest’ultimo passa poi dietro al vibrafono e insieme al piano di Sergio Mendoza, che per come è vestito sembra uscito da una festa in quel di Tijuana, colorano di tinte scure la lenta Dead Moon. La prima vera e propria ovazione i nostri la ricevono tuttavia non appena affiorano le note della strumentale Minas De Cobre, dal loro capolavoro The Black Light, capace di racchiudere al suo interno, come pochi altri brani, l’intero universo sonico calexichiano. Joey Burns pare davvero in stato di grazia; sorride, scherza, dialoga con il pubblico, oltre a dirigere i propri compari con rara maestria, confermandosi una volta di più un leader a dir poco carismatico. Leadership che tuttavia divide a pari merito con John Convertino, quasi un serial killer da b-movies nella sua tenuta in camicia a quadri e occhiali da nerd, il cui muoversi dietro ai tamburi è però pura poesia ritmica, sia che si tratti del percuotere con veemenza le pelli, che di lasciar strisciare con delicatezza le proprie spazzole. E il pubblico gli tributa il giusto riconoscimento acclamandolo a più riprese, tanto da istigare Burns alla battuta, che con un “Anche noi lo chiamiamo così per svegliarlo al mattino”, provoca l’ilarità di tutti i presenti. Sunken Waltz è un altro tesoro che riaffiora dal passato e con la recente Fortune Teller è forse il momento emotivamente più alto dell’intero concerto, bissato poco più avanti da una Alone Again Or, a marchio Love, da manuale. Seconda ovazione della serata accoglie una vibrante Crystal Frontier, con la quale i nostri ci salutano. Ovviamente non è finita qui, i sette rientrano in scena ed, accompagnati dai Blind Pilot, ripropongono una divertente For Your Love, dal songbook degli Yardbirds, tutta stacchi e ripartenze. Sinner In The Sea, assorta già a piccolo classico, ci porta invece dalle parti di Cuba, mentre la corale Guero Canelo, con all’interno una citazione della Desaparecido di Manu Chao, conclude la prima tranche di encore.
Si, perché i nostri richiamati a gran voce tornano on stage per regalarci una fluttuante The Vanishing Mind, che ci accompagna, cullandoci, verso la fine di quello che è stato un nuovo, immaginifico ed indimenticabile viaggio lungo le polverose strade del border.

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