mercoledì 25 gennaio 2012

Resurrection Lake - Quiet despair

Arrivano da Miami i Resurrection Lake e questo Quiet despair è il loro primo vagito discografico.  Un piccolo EP di 7 pezzi, registrato e prodotto dalla stessa band, capace tuttavia di condensare al suo interno tutti quegli ingredienti che sono alla base della formula sonora messa in campo dai nostri. Pura e semplice musica di matrice Americana, fortemente debitrice nei confronti di maestri come Neil Young ma strizzante al contempo un occhio verso le nuove leve del rock a stelle e strisce, su tutti Ryan Adams e i suoi Cardinals o i primi Wilco. Influenze che troviamo nell’opener Ghost, in cui sembra proprio di sentire Ryan Adams intento a reinterpretare un brano del vecchio Bisonte canadese. Quello che colpisce del quintetto è una sorprendente maturità sia a livello di scrittura che di esecuzione, difficilmente riscontrabile in una band esordiente. I nostri sanno suonare e lo sanno fare alla grande come ben testimoniato dalla successiva Ghost blues #5, che di blues ha solo il titolo, essendo infatti quanto di più dannatamente alternative country sia stato composto da qualche tempo a questa parte. Always, never è un lirico acquerello di stampo folk, con gli ottimi incastri vocali tra le voci di Victoria Gonzalez e di Juan Solorzano sugli scudi,  e con la chitarra acustica di quest’ultimo a dettare il ritmo, ben supportata dai precisi interventi alla sei corde elettrica di Jorge Palacio. The canyon mantiene invece fede al proprio titolo, tingendo nuovamente di country il pentagramma della band, grazie anche alla presenza della pedal steel di Michael Westbrook,  per un brano che pare uscito dai solchi di Jacksonville City Nights, capolavoro a marchio Ryan Adams & the Cardinals. The sadness of age mischia invece le atmosfere dei primi dischi dei Wilco, con alcune sonorità debitrici nei confronti dei Black Crowes,  in una ballata elettrica di grande suggestione, con ospite alla voce Sean Wouters dei Deaf Poets. Torna in primo piano la pedal steel di Westbrook nella tenue Somebody else’s death che, per forza evocativa e purezza sonora, non sfigurerebbe nel repertorio dei Wilco più country oriented. Sulla medesima scia si sviluppa la title track, posta in chiusura, ideale connubio tra classicità e sperimentazione sonora. Un EP che si lascia ascoltare dall’inizio alla fine, crescendo ascolto dopo ascolto fino a diventare una presenza fissa all’interno dello stereo. I Resurrection Lake hanno dimostrato una volta di più come con passione, ottime canzoni e una notevole abilità strumentale si possano creare ancora dei piccoli grandi album, senza il bisogno di produttori di grido o di ospiti di lusso.  

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