martedì 3 gennaio 2012

Laura Veirs - Tumble Bee

(Pubblicato su Extra! Music Magazine)

Il folk è da sempre la musica della gente. Musica nata per raccontare le vite, i sogni e spesso le delusioni e le sconfitte delle persone comuni. Dagli angoli più sperduti e rurali, fino ai grandi agglomerati urbani, il folk negli Stati Uniti, ha rivestito un ruolo sociale di primo piano, con un songbook tanto ricco quanto variegato. Tra le varie diramazioni di genere nelle quali si è divisa la stessa musica popolare, ve ne è una tuttavia poco conosciuta ed esplorata, ma per questo non meno importante dal punto di vista culturale; le canzoni per l’infanzia. Ed è proprio da quest’ultime che prende spunto Laura Veirs per porre le basi della sua ultima fatica discografica, Tumble Bee, sottotitolato non a caso Sings Folk Songs For Children. Una scelta, quella di dedicarsi all’esplorazione di questo micro universo sonoro, dettata forse dalla recente maternità, che si rivela in ogni caso azzeccata, in quanto la Veirs pare davvero trovarsi a proprio agio tra i pentagrammi delle composizioni qui contenute. Prendendo spunto dall’opera di illustri predecessori, come Mike e Peggy Seeger o Woody Guthrie, la nostra arricchisce la propria originaria tavolozza sonora, dalle tenui tinte indie-folk, con nuove sfumature old-time. Ottimo anche il lavoro del marito, Tucker Martine, in cabina di regia, il quale ha radunato intorno alla propria consorte una band di tutto rispetto, alla quale si aggiungono alcuni ospiti d’eccezione. Apre le danze Little Lap-dog Lullaby, delicata ballata pianistica dal retrogusto indie folk. Prairie Lullaby rimanda invece all’immensità delle praterie americane, complice anche una liquida pedal steel e l’inedito yodeling della Veirs, il tutto in un’onirica e soffice ninnananna. Quello che tuttavia colpisce, fin dal primo ascolto, è come l’artista sia riuscita a creare una sorta di anello di congiunzione tra tradizione e modernità, creando un proprio marchio sonoro, che diventa l’ossatura dello stesso lavoro. Prendiamo per esempio Jack Can I Ride? e la title track; la prima ripescata tra i brani tradizionali, mentre la seconda di più recente composizione. Entrambe traggono giovamento dal trattamento sonoro a loro riservato, tanto che il gap temporale presente tra di esse pare azzerato. Di stampo tradizionale è anche il grazioso scioglilingua King Kong Kitchie Kitchie Ki-Me-O, con il banjo di Bela Fleck ad impreziosire il tutto, mentre l’incalzante Jump Down Spin Around è tutta giocata sull’uso del call and response, tra la voce solista della Veirs e quelle di un nutrito coro, con ospite, dietro ai tamburi, Brian Blade. Di grande suggestione sono All The Pretty Little Horses, dalle sonorità irish e The Fox, divertente filastrocca musicale. Why, Oh Why? faceva invece parte del disco dedicato, da Woody Guthrie, proprio all’infanzia (Songs To Grow On For Mother And Children, a parere di chi scrive un piccolo gioiello senza tempo), che la Veirs rilegge con la personalità e la grazia che da fin dagli esordi la contraddistinguono. Sembra arrivare dagli Appalachi l’old-time Soldier’s Joy, con ospite Colin Meloy dei Decemberists alla voce, mentre Jamaica Farewell affascina grazie alle sue atmosfere caraibiche. Menzione particolare la merita infine l’artwork, davvero ben curato e di grande effetto, con al proprio interno, una colorata “giostrina” di carta da assemblare e posizionare sul letto del proprio bambino. Un album, questo Tumble Bee capace, come pochi altri, di incantare e al contempo divertire, dimostrando come il folk sia materia sonora atemporale, adatta ad ogni generazione ed età.

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