lunedì 12 maggio 2014

Emilia Martensson - Ana

(Pubblicato su Extra! Music Magazine)


Svedese di nascita, ma da tempo stabilitasi in quel di Londra, Emilia Martensson pare aver trovato nella nebbiosa capitale britannica, il luogo ideale per dar libero sfogo al proprio estro artistico. Con all'attivo una fruttuosa collaborazione con il Kairos 4Tet, ed un esordio, So It Goes, in coppia con il pianista Barry Green, accolto ottimamente dalla critica inglese, e non, la cantante torna oggi a far sentire la propria voce con il suo nuovo, vero, parto solista. Dedicato, sin dal titolo, alla propria nonna di origini slovene, in Ana la Martensson mostra, ancor più che nella precedente release, un animo musicale inquieto e sfaccettato, nel quale convivono, in armonia, la gelida tradizione musicale della propria terra natia, solari melodie di stampo californiano, e un quieto sussultare armonico d'ascendenza jazzy. Atmosfere sinuose e dilatate, opera di ben calibrate trame improvvisative, con l'ammaliante vocalità della Martensson, tra riflessivo storytelling ed intimistiche confessioni notturne, a volteggiare dolcemente sui giochi contrappuntistici del pianoforte del “vecchio” sodale Barry Green. Una partnership, quella tra i due, capace anche in questo frangente di regalare incantevoli acquarelli musicali, permeati da un sottile swing, nel loro trattenuto divagare verso pacificate oasi cantautorali, puntellati dal preciso lavorio ritmico del contrabbasso di Sam Lasserson e delle percussioni di Adriano Adewale, alle quali si aggiungono i contributi cameristici del Fables String Quartet. Se l'opera di immortali cantanti jazz quali Billie Holiday, Ella Fitzgerald e Anita O'Day, ascoltate ossessivamente durante la propria infanzia, rappresentano tuttora un elemento portante del background della Martensson, più marcata si è fatta oggi l'influenza dell'arcaico folklore nordico. Ne sono esempi, più che lampanti, la ripresa di un antico brano appartenente alla tradizione musicale svedese, Nar som jag var pàt mitt adertonde ar, qui riproposto in uno scarno, algido arrangiamento invernale; così come l'autografa, conclusiva, Vackra Manniska, cantata a cappella facendo ricorso all'idioma del suo paese d'origine. Un sentito omaggio ad un altro dei propri giovanili, amori in musica, Joni Mitchell, è invece la rilettura di Everything Put Together Falls Apart, appartenente sì al songbook di Paul Simon, ma con la voce della cantante svedese a ricordare per misticheggiante grazia esecutiva quella della Signora del Laurel Canyon, come, peraltro, avviene nella distesa Tomorrow Can Wait, tra dissonanze jazz e sontuose suggestioni cantautorali tinteggiate di “blu”. Un'introspettiva Black Narcisuss, composta dal saxofonista Joe Henderson, rifulge di nuova luce sonica grazie alle inedite liriche approntate per l'occasione dalla stessa Martensson, ad ulteriore conferma tanto di una notevole maturità compositiva, quanto della propria seducente raffinatezza interpretativa. Un album rasentante l'incanto, Ana, da assaporare lentamente, magari al crepuscolo, quando l'ultimo barlume di luce solare scema all'orizzonte, lasciandosi cullare, verso l'appropinquarsi delle tenebre, dall'umbratile, vellutata voce di una delle più talentuose chanteuse odierne.

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