giovedì 22 maggio 2014

Chuck E. Weiss - Red beans and Weiss

(Pubblicato su Extra! Music Magazine)


Compagno di gozzovigli, alcolici e non, di Tom Waits e Rickie Lee Jones, negli anni dissennati del Tropicana Motel, bislacco deejay radiofonico, socio paritario di Johnny Depp nell'edificazione del Viper Room, ma sopratutto songwriter d'allucinata irrazionalità; a leggere il “curriculum” di Chuck E. Weiss vi è di che rimaner esterrefatti, specie di fronte alla bizzarria di un personaggio al di fuori di ogni schema e catalogazione. Un autentico beautiful freak, il nostro, un “exile on the backstreet” al quale, fortunatamente per noi, il grande successo non ha mai arriso, abbandonandolo anzi ai margini, in quel fetido limbo underground pullulante della più diversa, disadattata “fauna”, divenuta presto protagonista del suo scrivere in musica. Ha inciso tuttavia poco Weiss, d'altra parte egli stesso si definisce un inguaribile procrastinatore, ma nei suoi sparuti lavori discografici ha saputo convogliare i “souvenir sonici” raccolti, qua e là, nel suo inquieto bazzicare i bassifondi di una Los Angeles nel cui tessuto urbano ha trovato l'habitat ad esso più consono. Vetusti e scalcinati blues, torbido rock'n'roll, languide atmosfere jazzate in odore di dixieland e cantilenanti filastrocche apparentemente senza capo né coda; questo è quanto contenuto nel variegato e variopinto mondo musicale weissiano, un immaginario sonoro di strabordante follia, oggi idealmente rappresentata dalla copertina del nuovo Red Beans And Weiss, quasi una versione freak dell'artwork del “Sergente Pepe” di beatlesiana memoria. Un album dato alle stampe a sette anni di distanza dal precedente 23rd & Shout, con il nostro quasi “costretto” ad entrare nuovamente in studio di registrazione dagli amici Waits e Depp, per l'occasione accollatisi anche l'onere della produzione. Non sembra tuttavia aver lasciato strascichi, sul nostro, il lento trascorrere del tempo, certo qualche ruga e qualche acciacco hanno fatto nel frattempo la propria comparsa, ma a livello musicale nulla pare essere cambiato, in un continuo ed ostinato rifuggire ogni logica commerciale o qualsivoglia compromesso. Sarà l'egida discreta ed accomodante della benemerita Anti, ma Weiss sembra aver avuto, ancor una volta, totale carta bianca, nonché il beneplacito di barcamenarsi, come egli magistralmente sa fare, tra i più astrusi ed improbabili pentagrammi. Una fiducia ampiamente ripagata con tredici brani, tutti inediti fuorchè un “tributo”, d'eccezione, al songbook altrui, sintomatici di come la vena autoriale del songwriter originario di Denver, abbia ritrovato la propria fertilità, tanto che si può tranquillamente considerare Red Beans and Weiss quale sua opera più ispirata e riuscita. Complice la voce scura e catramosa del titolare, e una band, i G-Damn Liars, dalle movenze precise e senza pecche, come quelle d'un ingranaggio ben oliato, si rimane come stregati dal magnetismo sonoro permeante i solchi di un album equiparabile ad un introspettivo viaggio all'interno dell'universo weissiano. Un mondo strambo, dove si incontrano strani “abitanti”, come Tupelo Joe, presentatoci sulle note di un rock'n'roll sporco e stradaiolo, che ne porta il nome, oppure la gatta Shushie, alla quale è dedicato l'omonimo, fumoso talkin' dalle notturne tinte jazzy. L'ossessivo incedere di Boston Blackie, sfociante in uno spiritato declamare al limite del nonsense, così come una sferragliante Bomb The Tracks, sono altresì esplicative della deviata estetica musico-narrativa del nostro. La giovanile infatuazione per il blues non si è, dal canto suo, per nulla affievolita, tutt'altro, manifestandosi in questo frangente tanto nel tribalismo percussivo d'una dopata Kokamo (Boy Bruce), quanto in una Dead Man's Shoes dove un istrionismo vocale alla “Capitano Cuoredimanzo” incontra il boogie della Motor City d'ascedenza hookeriana. Nella travolgente Hey Pendejo si respira invece l'aria del border messicano, in quella che pare un'ubriaca divagazione su d'una melodia della tradizione nortena, ad opera di Ry Cooder e dei suoi Corridos Famosos, in preda ai fumi dell'alcol, in qualche sperduta bettola nei dintorni di Tijuana. Splendido è l'omaggio all'opera stonesiana di Exile on the Main Street Blues, dal gracchiante incipit, per sola voce e piano, ricordante le incisioni viniliche di Memphis Slim per la Blue Bird Records, prima che l'ingresso della band al gran completo lo tramuti in un incontenibile blues urbano. E se in Oo Poo Pa Do In The Rebop sembra di ascoltare un biascicante Randy Newman, strafatto di quaalude, mirabilmente assecondato dalla Preservation Hall Jazz Band, il folle pastrocchio di Willy's In The Pee Pee House, assurdo quanto riuscito ragtime pianistico con lo sbilenco accompagnamento ritmico di una simil banda dell'Esercito della Salvezza, sul quale si accavalla un coacervo di urla e grida, chiude con un ultimo, fulminante lampo di follia un album di delirante bellezza. Mi sento pertanto di avvalorare il consiglio di Johnny Depp, riportato sulla copertina del disco medesimo, «Chuck E. Weiss is a rare treasure. If you buy one record this year, make it this one. It's insane!», e mi permetto d'aggiungere....bentornata vecchia volpe d'un Weiss!

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