martedì 12 febbraio 2013

Marcello Milanese - Goodnight to the bucket

(Pubblicato su Extra! Music Magazine)

Se con l'esordio da solista, targato 2011, si era paragonato ad "un lupo in un pollaio", con questo nuovo album Marcello Milanese porta, almeno idealmente, i frutti delle proprie passate razzie "gallinacee" nel profondo Sud degli Stati Uniti, condendo il tutto con inebrianti dosi di moonshine. Goodnight To The Bucket segna infatti un ritorno al blues, quello più puro, autentico ed incontaminato, da sempre presente nel dna musicale del chitarrista alessandrino.
Una chitarra appunto, autocostruita per l'occasione e denominata "Helleluja H1", che "puzza" di fango di palude, una stomp box come unico supporto ritmico, ed una voce roca e scura ad evocare demoni mai sopiti; questi gli ingredienti di un album, registrato in due sole sessioni, in presa diretta, che fa dell'immediatezza e dell'essenzialità le proprie peculiarità. Undici i brani contenuti, quasi tutti frutto della penna dello stesso Milanese, a conferma tanto della fertilità quanto della bontà della stessa, ai quali si aggiungono alcune "rivisitazioni" di arcaici e polverosi blues. Pare di trovarsi in un qualche dimenticato juke joint del Mississippi, tra le gente che urla e balla, ed il caldo insopportabile, con i vestiti che ti si attaccano letteralmente alle pelle, mentre da un angolo sgorga improvvisa una musica dolente e lacerante, sulla quale si erge fiera una voce arrochita, intenta a scorticare le anime e la carne degli ignari avventori. Sintomatiche in tal senso sono l'opener, Friday Mood, dal lento inizio deltaico, prima di lasciare correre veloci le dita sulle corde della chitarra, l'ipnotica Poseidon Blues, o l'evocativa title track, dove a risaltare è il magistrale uso del bottleneck. Recupera invece in parte l'impronta cantautorale dell'esordio la delicatezza folkie di I'd Change The Words, mentre echi "cooderiani" si avvertono nella strumentale Purple, con ancora in risalto il bottleneck. E se Bring Me Alcohol pare arrivare da una delle field recording di Alan Lomax, Come On In My Kitchen vede Milanese incontrare, nei pressi di uno sperduto crocicchio, lo spirito del tanto amato Robert Johnson, al quale tributa il proprio omaggio rivisitandone, con enfasi, uno dei brani più rappresentativi. Crocicchio dove il nostro sembra aver avuto anche "sataniche" frequentazioni, la cui influenza si insinua su nastro nella tetra The Devil Owe Me 50 Bucks. Ultima menzione per la splendida rilettura di Ain't No Grave, forse il picco emotivo dell'intero album, un vecchio gospel venato di blues che pare arrivare da "sei piedi sotto terra", in uno straziante urlo di dolore. Non ci sono orpelli, ne effetti ridondanti in Goodnight To The Bucket, ma solo un uomo, la sua chitarra e un pugno di blues, da cantare, come ultima possibilità per espiare i propri peccati ed avere salva la vita. Altamente consigliato.

Nessun commento:

Posta un commento