sabato 19 gennaio 2013

Luke Winslow-King @ Cantina Teatrale dei Cattivi Maestri

(Pubblicato su Rootshighway)

Savona, in una buia sera d'inverno, è come al solito sferzata da un vento gelido, quasi annichilente; eppure basta varcare la soglia di un vetusto edificio della città "storica" per ritrovarsi immersi tra i caldi e colorati ritmi di New Orleans. La Cantina Teatrale dei Cattivi Maestri, adibita solitamente a rappresentazioni di prosa, pare infatti essersi trasformata per una sera, grazie alla proverbiale organizzazione di Marco Traverso del Raindogs, in uno dei tanti locali che affollavano la Storyville d'inizio secolo. Fautore di cotanto salto spazio-temporale è Luke Winslow-King, di ritorno sull'italico suolo dopo aver incantato la scorsa estate il pubblico del Rootsway. Un vero "man out of time" il nostro, nativo di Cadillac, nel Michigan, ma da tempo trasferitosi proprio in quel di New Orleans, dove la sua carriera artistica, come quella di molti altri, ha trovato nuova linfa vitale. E proprio della Big Easy pare aver assorbito umori e ritmi, fondendoli con le lamentose sonorità del Delta blues, la briosità del ragtime e un pizzico di rock'n'roll, il tutto in un pastiche sonoro dal fascino antico. Ad aprire la serata è chiamato Stefano Ronchi, bluesman genovese (anche tra le fila degli Almalibre), che con l'aiuto della sola chitarra ha presentato alcuni estratti dal suo recente album solista, l'ottimo I'm ready, intervallandoli a brani tradizionali e tributi ai musicisti che più lo hanno ispirato. Pur essendo innamorato, come egli stesso confessa, delle sonorità elettriche del Chicago blues, il chitarrista si è spinto tuttavia fino ai paludosi territori del Delta, con una riuscita ripresa della Crow Jane di Skip James, per poi tornare nella "Windy City", omaggiando prima Little Walter (My babe) e poi Muddy Waters (I'm ready). Decisamente convincenti sono state anche le riproposizioni dei brani autografi, tra i quali merita di essere menzionata Down to the river, che oltre a dimostrare la perizia alla sei corde del nostro, ne mettono in luce anche una roca vocalità che sembra forgiata appositamente per cantare il blues. Il testimone passa poi da un chitarrista nostrano ad un altro, visto che ad accompagnare Luke Winslow-King questa sera c'è Roberto Luti, autentico maestro della chitarra slide. Completa la formazione Esther Rose, compagna di Winslow-King non solo sul palco ma anche nella vita, impegnata a grattare sulla washboard e a percuotere con un cacciavite su di un ferro di cavallo. L'inizio è tuttavia appannaggio della sola coppia americana, con The coming tide, title track della loro recente fatica discografica in uscita tra qualche mese, con le note della chitarra resofonica di Winslow-King subito ad avvolgere l'ambiente, amalgamandosi con le aeree armonie delle due voci, il tutto sul preciso quanto "rurale" supporto ritmico della washboard della Rose. L'entrata in scena di Roberto Luti non fa altro che arricchire di sentori bluesy il patchwork sonoro messo in scena dal trio, in un rapido quanto coinvolgente excursus nella storia della musica americana di matrice tradizionale. Si passa così dalle tinte gospel di Keep your lamp trimmed and burning e Let your light shine on me dal repertorio di Blind Willie Johnson, ad atmosfere jazzy, fino al country blues "minniano" di Bumble bee con la Rose protagonista alla voce. C'è spazio anche per il folk, nelle sue più diverse derivazioni e varianti, siano esse caraibiche o americane, quest'ultime ben rappresentate da una soffice rilettura di Shake sugaree, dalla penna di Elizabeth Cotten. È comunque il blues a farla da padrone, terreno sonoro ideale, d'altronde, sul quale i due chitarristi hanno modo di destreggiarsi in lancinanti assoli, con il bottleneck a scorrere fluido sulle corde. Non poteva pertanto mancare un omaggio ad uno dei più grandi chitarristi slide di sempre, Mississippi Fred McDowell, prima con una Someday baby (scritta invero da Sleepy John Estes) e poi con un infuocato reprise di Kokomo blues, con Roberto Luti a dispensare lampi di classe immensa. Un musicista forse anagraficamente giovane Luke Winslow-King, ma che ha dimostrato di saper padroneggiare con grande classe e versatilità, ed una più che spiccata personalità, sonorità arcaiche, e lo splendido concerto di questa sera ne è stata un'ulteriore conferma.

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