martedì 22 gennaio 2013

Bap Kennedy @ FolkClub - Torino

(Pubblicato su Extra! Music Magazine)

La cultura, quella con la C maiuscola, arricchente, appagante e capace di avvicinare le persone delle età e delle condizioni sociali più disparate, è stata oggetto nel nostro paese, in questi ultimi anni, di tagli sempre più indiscriminati. Rassegne musicali, e non, letteralmente falcidiate, per non parlare di locali, anche storici, che hanno chiuso i battenti. Fortunatamente molti di essi “resistono”, con una tenacia insopprimibile, derivante da una passione autentica per l’arte nelle sue innumerevoli manifestazioni. Un’isola, appunto, “resistente” quanto felice è il FolkClub, storico locale torinese, arrivato quest’anno a festeggiare il suo venticinquesimo anno di attività. Venticinque anni di programmazione musicale, sempre all’insegna della qualità, che hanno visto alternarsi, nella suggestiva location posta nello “scantinato” di un palazzo della città piemontese, artisti provenienti da ogni parte del mondo. Questa sera per esempio si respira il profumo delle brughiere della verde Irlanda del Nord, visto che sul palco è di scena Bap Kennedy, da Belfast. Un songwriter, la cui scarsa fama sul suolo italico non rende giustizia ad un percorso musicale, che l’ha portato a collaborare, in passato, con artisti del calibro di Steve Earle (produttore del suo primo disco Domestic Blues), il conterraneo Van Morrison fino a Mark Knopfler, in cabina di regia ed alla chitarra nell’ultimo The Sailor’s Revenge, edito nel 2011. Album nel quale emergeva, una volta di più, un talento compositivo di indubbio spessore, capace di catalizzare l’attenzione anche della stampa italiana, specializzata e non, con il nostro ad esibirsi per la prima volta nel nostro paese, l’estate scorsa. Concerti nei quali si è potuto assaporare finalmente da vicino la bontà della sua proposta musicale, in bilico tra country e folk, con qualche lieve accento della propria terra d’origine. Presentatosi, questa sera, in trio, ed accompagnato dalla moglie Brenda al basso elettrico e alle backing vocals, e dal funambolico Gordy MacAllister alla chitarra acustica, il cantautore di Belfast ha incantato i presenti andando ad attingere in particolar modo proprio al suo ultimo e fortunato lavoro, senza tuttavia tralasciare alcuni estratti dalla sua produzione meno recente. Una perfomance al centro della quale vi è stata senza dubbio la voce dello stesso Kennedy, seducente strumento narrativo di una storia musicale lunga ormai quindici anni. Ad impreziosire quest’ultima, oltre che la chitarra dello stesso Kennedy, i deliziosi interventi solistici della sei corde di McAllister, strumentista eccelso, semplicemente superbo nel suo abbellire con gusto e misura, a cui si aggiunge il preciso pulsare del basso di Brenda Kennedy. L’inizio è quasi in sordina con la melodia jazzy di Be Careful What You Wish For, che ci introduce in punta di piedi nel microcosmo sonoro dell’irlandese, subito bissata dalla limpida melodia di Jimmy Sanchez (ispirata dall’omonimo minatore cileno, rimasto imprigionato nel sottosuolo) che pare guardare all’assolata West Coast, più che alla terra dei “folletti e delle fate”, segno evidente di come il background sonoro del nostro sia ben radicato anche in territorio statunitense. Come peraltro ribadito dalle acustiche tinte bluesy di Domestic Blues, o da una Unforgiven di stampo earliano. Ramblin' Man è invece country fino al midollo e non potrebbe essere altrimenti visto che si tratta di un brano del leggendario Hank Williams, uno degli artisti più amati da Kennedy. Legata alla propria terra d’origine è invece Howl On, salvifica ballata dove ogni singola nota viene centellinata con cura certosina, così come nella più recente The Beauty Of You, dove country e irish music paiono danzare insieme sulle onde dell’Oceano Atlantico. Di tutt’altro tenore l’arrembante country’n’grass di Cold War Country Blues prima di una breve pausa, preludio alla magia sonora della morrisoniana Madame George, superbamente interpretata, a rafforzare ulteriormente un legame artistico con il ben più blasonato conterraneo, alla quale si aggiungerà poco più avanti Milky Way, brano scritto a quattro mani proprio con quest’ultimo. Si vira verso invece il country gospel con una spigliata Satan Your Kingdom Must Come Down, a firma Everly Brothers, alla quale pare replicare l’autografa e ruspante Please Return To Jesus. Giusto ancora il tempo di qualche estratto dall’ultimo album, prima di giungere agli invocati encore, tra i quali spicca una robertsiana Hey Joe, rinvigorita dal chickaboom di cashiana memoria. Una serata, a dir poco magica, nella quale abbiamo potuto assaporare appieno, anche grazie all’ottima acustica del FolkClub, l’adamantina bellezza di una delle voci più genuine del nuovo cantautorato folk, irlandese e non.

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