sabato 4 febbraio 2012

Sassparilla - The darndest thing

(Pubblicato su Rootshighway)

Creatura multiforme ed in costante evoluzione i Sassparilla. Un work in progress sonoro quello del quintetto di Portland, che li ha portati, dal loro debutto nel 2007 ad oggi, ad attraversare trasversalmente i generi più disparati, reinterpretandoli e fondendoli tra loro alla ricerca dell'amalgama musicale perfetto. Se l'esordio Debilitated Constitution, ci presentava una jug band, intenta a rivisitare a proprio piacimento country-blues e ragtime, già il successivo Rumpus, dell'anno seguente, vedeva un deciso irrobustimento del suono attraverso deliranti dosi di elettricità, in una sorta di punk-roots, alla base anche del loro terzo lavoro, Ramshackle, uscito nel 2010. E' tuttavia con l'odierno The Darndest Thing, che la svolta sonora del quintetto si fa ancor più marcata. Un album scritto e registrato in un momento particolare per la band, caratterizzato dall'improvvisa scomparsa di un caro amico, le cui conseguenze emotive pervadono i solchi di questa loro ultima opera in studio. Ciò che colpisce, da un punto di vista prettamente musicale, è una sorta di smussamento delle spigolosità sonore del passato, in favore di una maggiore attenzione in fase di scrittura ed arrangiamento dei brani. A tal proposito, si è rivelata senza dubbio sensata la scelta di affidarsi ad un produttore esterno, Chet Lyster (già nella band di Lucinda Williams e ora nelle fila degli Eels), il quale ha saputo egregiamente indirizzare l'estro creativo di Kevin "Gus" Blackwell, cantante, chitarrista e principale songwriter della band. Il risultato sono otto piccole storie di ordinaria vita quotidiana, in grado di affascinare grazie alla loro disarmante semplicità, a cominciare dall'opener New Love, coinvolgente up-tempo in bilico tra folk e pop. Non sfigurerebbe, nel repertorio delle innumerevoli marching band che affollano New Orleans, la successiva Same Old Blues, con il banjo a dettare il tempo, ben coadiuvato da una solida sezione ritmica, ad impreziosire il tutto gli splendidi interventi di tromba dal retrogusto jazz. Tempi rallentati per la suggestiva Bone Colored Moon, screziata da violino, armonica e accordion, con la suadente voce di Blackwell, che trova nell'altrettanto espressiva vocalità di Naima, un degno contraltare. Suoni elettroacustici sono alla base di Overcoat, capace di unire elementi rootsy a là Old Crow Medicine Show, con atmosfere care al Tom Waits più jazzy. Il banjo torna protagonista nella cadenzata Confession, dall'inizio quasi in sordina, per poi crescere poco a poco, tanto da guadagnarsi la palma di miglior brano del lotto. La notturna Fumes prende spunto da una chiacchierata, avvenuta in un bar, tra un ragazzo e Blackwell, con quest'ultimo che prova ad immaginare, attraverso la stessa canzone, un'ipotetica vita del primo, tra ritmi percussivi, stridii del violino e delicati abbellimenti melodici ad opera dell'accordion. Rimandi al passato recente dei nostri si possono in parte ritrovare in My First Lover, in cui alle malie sonore attuali si alternano gli sconclusionati cambi ritmici degli esordi. La conclusiva e rarefatta You've Got it Bad, al contrario, vede la band intenta a centellinare note, con la voce di Blackwell ridotta in alcuni frangenti quasi ad un sussurro. Non è lecito sapere a quali ulteriori stravolgimenti sonori i Sassparilla sottoporranno in futuro la propria musica, tuttavia nell'attesa, non possiamo far altro che lasciarci ammaliare dalla bellezza e dalla purezza di The Darndest Thing.

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