mercoledì 25 giugno 2014

Into a cosmic trip - Intervista ad Alessandro Battistini

(Pubblicato su Extra! Music Magazine)




Dalla guida della roboante automobile hard blues targata Mojo Filter al timone di un antico vascello in rotta verso inesplorate rotte astrali; Alessandro Battistini ci accompagna, tra solari melodie westcostiane e acidi sentori lisergici, alla scoperta delle sue "sessioni cosmiche".


Cominciano dal principio, come è maturata l'idea delle Cosmic Sessions?

È nata all’improvviso, ho scritto Nothing More to Say e ho capito che avevo il desiderio di esplorare nuove strade. Era da un po’ che avevo in testa qualcosa di un po’ più west coast.


Quello che emerge, fin dal primo ascolto, è un approccio, compositivo quanto esecutivo, figlio d'un libero fluire di note e parole. Come si sono svolte le sessioni di registrazione? Che clima si respirava in studio? 

Ho impostato il lavoro in studio perché fosse il più naturale possibile. Speravo che ogni musicista si sentisse libero per riuscire a dare alle canzoni quello spirito un po’ jam/free tipico di una certa musica di stampo sixties.


Nei Mojo Filter, oltre ad essere frontman e chitarrista, rivesti anche il ruolo di compositore, che differenze hai riscontrato, proprio a livello di songwriting, tra queste due esperienze musicali così diverse? 

Quando ho iniziato a scrivere ”Cosmic Sessions” ho seguito poche direttive e una di queste era dare al progetto un taglio più folk rispetto ai pezzi dei Mojo Filter; per questo ho cercato di scrivere delle canzoni con strutture più libere; in “The Roadkill Songs” avevamo cominciato a introdurre un po’ di psichedelia con Theremin e percussioni e con “Cosmic Sessions” ho voluto calcare la mano su questo aspetto.


Sonorità, quelle permeanti le “sessioni cosmiche”, figlie della California della fine degli anni Sessanta – inizio Settanta, tra echi del Laurel Canyon e la psichedelia immaginifica di Haight-Ashbury. Quasi inevitabile, quindi, che molti ti abbiano paragonato a Jonathan Wilson, fautore di due album attestatisi sulle medesime coordinate stilistiche. È un accostamento che ti lusinga oppure potrebbe, secondo te, risultare solo un, fuorviante, tentativo di catalogare la tua musica? 

Sicuramente l’accostamento mi lusinga molto; apprezzo moltissimo il lavoro di Jonathan Wilson, così come quello di Chris Robinson con i Brotherhood, trovo che in questo momento siano i due artisti che più si avvicinano a quello che vorrei fare io; mi piacciono le lunghe improvvisazioni e le parti strumentali che in certi momenti diventano quasi ambient; trovo che i loro dischi siano dei veri e propri trip musicali.


Notevole, oltre all'intrecciarsi delle corde elettroacustiche dei più diversi strumenti, è il lavoro svolto sulle armonizzazioni vocali. Che peso specifico hanno queste ultime nell'economia generale dell'album? 

Si, le armonizzazioni in “Cosmic Sessions” sono sicuramente più importanti che nei miei lavori precedenti, pensavo ai Buffalo Springfield, a certe cose dei Byrds e, nel mio piccolo, anche ad alcuni arrangiamenti della fase psichedelica dei Beatles; avrei voluto ricorrervi anche per alcuni arrangiamenti dei dischi dei Mojo Filter, ma tendo a non mettere niente su disco che poi non si possa riproporre anche dal vivo.


Alle registrazioni hanno preso parte anche alcuni ospiti di vaglia, tra i quali spicca senza dubbio Antonio Gramentieri, chitarrista nonché mente dei nostrani Sacri Cuori, e abituale frequentatore di polverose sonorità Americana e torridi ritmi desertici. Come si è integrato il particolare, evocativo fraseggio della sua sei corde all'interno di un brano come “The Wise Rabbit”? 

Quando Antonio ha sentito il demo di The Wise Rabbit mi ha detto che gli ricordava alcune cose dei Traffic e che gli avrebbe fatto piacere provare a metterci qualche chitarra. Devo dire che il risultato mi è piaciuto tantissimo perché, come suo solito, è riuscito a trovare immediatamente il suono e il mood giusto per enfatizzare il lato acido e malato della canzone.


Altra presenza di spessore è quella di Jono Manson, già frequentato in passato con i Mojo Filter, il quale non solo presta la sua voce alla splendida “Home”, ma ha svolto anche il missaggio del disco nel suo Kitchen Ink Studio, in quel di Santa Fè. Sei soddisfatto del suo lavoro? È quello che avevi in mente, a livello di suono, quando hai concepito l'album? 


In realtà Jono questa volta si è “limitato” a fare il master e come sempre ha fatto uno splendido lavoro; lui è uno di quegli artisti che riesce a rendere tutto più semplice e naturale, sia dal punto di vista artistico che da quello tecnico di produzione e registrazione; trovo che nella musica questa sia una dote imprescindibile. Il mixaggio e le riprese sono state fatte da Matteo Tovaglieri dell’Ncore Studio che si è dimostrato la spalla ideale; anche lui adora gli anni Sessanta e insieme abbiamo cercato di ricostruire quel suono che avevamo in testa. Mi è piaciuto molto lavorare con lui e spero che in futuro ci saranno altre occasioni.


Curiosa è la presenza di una sola rivisitazione del repertorio altrui, oltretutto alquanto riuscita, ovvero della “Walking The Dog” a firma Rufus Thomas, come mai questa scelta? 

Walking The Dog è uno dei primi pezzi blues che ho sentito da ragazzino. Quando l’ho sentito mi sono subito innamorato della canzone e di un certo tipo di blues molto diretto e carico di ironia; registrando “Cosmic Sessions” abbiamo provato a suonarla in modo un po’ più nostro e il risultato ci è piaciuto tanto che ho deciso di inserirla nel disco. Dal vivo ci divertiamo molto a suonarla, soprattutto per la parte finale che esce ogni volta diversa.


Così come è particolare l'inserimento di alcune particelle sonore e piccoli intermezzi parlati che appaiono all'improvviso all'interno di più d'un brano. Da dove provengono? 

In Staring At Your Splendor c’è un estratto di un’intervista a Bob Ross, un pittore che descrive il suo quadro “The Splendor Of Winter”, e parla dei colori come fossero gli ingredienti di una ricetta. Mi è piaciuto molto perché nel suo racconto i colori diventano stati d’animo.
In Inner Side, invece, abbiamo riportato un estratto di una lezione di yoga: l’insegnante sta spiegando la posizione del piccolo universo e la canzone, guarda caso, parla dell’universo interiore, una canzone triste ma con un lieto fine ;)


Davvero suggestiva è la cover del disco, con un vascello-mongolfiera, pronto a salpare per nuovi viaggi astrali, campeggiante in copertina. Chi è l'autore? 

La cover è dello Zeppelin Studio di Nicola Callegaro e Valentina Toson e mi è piaciuta proprio per il suo significato evocativo; mi sono sentito subito a bordo di quel vascello in rotta verso nuove avventure, con mezzi impropri e fantasiosi ma pieno di buoni propositi.


Reminiscenze settantiane si avvertono anche nel nome scelto per la band che ti accompagnerà dal vivo, i Salty Frogs, di velata ispirazione younghiana. Puoi presentarci i musicisti che ne fanno parte? 

Si, i Salty Frogs sono una band ad organico variabile, una sorta di grande famiglia pensata per potersi adeguare a tutte le situazioni; al momento ne fanno parte Francesca Arrigoni (voce e percussioni), Francesco Cimini (chitarre), Simone Spreafico (piano e keys), Alex Chiesa (basso) e Arnaldo Ripamonti (batteria, percussioni e voci)


In che modo riproporrai le Cosmic Sessions dal vivo? Cosa deve aspettarsi chi verrà ad assistere ad un tuo concerto? 

Abbiamo già fatto un buon numero di date e devo dire che sono molto contento perché ognuna di esse è stata a suo modo diversa e particolare. Abbiamo suonato elettrici full band o acustici in duo o trio; è divertente perché ogni formazione mette in luce arrangiamenti e aspetti diversi dei pezzi…


Vista la più che buona accoglienza riservata dalla critica al tuo esordio solista, in futuro vi saranno altri capitoli discografici a nome Alessandro Battistini, oppure le “sessioni cosmiche” rimarranno solamente, un pregevole, scarto di lato dal tuo abituale percorso musicale? 

Sicuramente a breve proseguirò come solista; a settembre/ottobre uscirò con un video clip e poi sarò impegnato in una serie di concerti alcuni dei quali fuori dall’Italia. Nel frattempo sto lavorando al nuovo materiale.


Hard blues psichedelico con i Mojo Filter, ed ora questo rilucente caleidoscopio sonoro elettroacustico; il tutto lascia trapelare una curiosità musicale a 360°. Quali sono stati i dischi o gli artisti che hanno maggiormente influenzato, nel corso degli anni, il tuo modo di intendere, nonché di fare, musica? 

Sono nato ascoltando e suonando i Led Zeppelin o Jimi Hendrix e subito dopo il british blues di band come Bluesbreakers, Yardbirds. Ho adorato i Doors e le loro atmosfere, e sono stato segnato dagli Stones e impressionato dalla genialità dei Beatles. E poi c’è tutto quell’elettro folk di metà anni Settanta: Buffalo Springfield, Crosby stills Nash & Young, Tim Buckley, Grateful Dead, Joni Mitchell





Nessun commento:

Posta un commento