martedì 4 giugno 2013

La Casa del Vento - Giorni dell'Eden

(Pubblicato su Extra! Music Magazine)

E’ sempre stato un collettivo “atipico” quello della Casa del Vento; nei suoi ranghi, in una convivenza musicale che dura ormai da più di vent’anni, trovano infatti posto un maestro elementare, un operatore cimiteriale, un musicista-fattore berlinese, un ricercatore e due musicisti erranti. Persone comuni quindi, capaci tuttavia di portare avanti un percorso artistico che, senza cedimenti di sorta, ha sempre saputo mantenere un forte impegno civile, raccontando storie di vita vissuta, tra ingiustizie Banga. Un incontro che pare aver sconvolto in parte il loro mondo musicale, o perlomeno questo è ciò che si evince ascoltando Giorni dell’Eden, nuova fatica discografica marchiata Casa del Vento. Il sestetto pare infatti aver accantonato, almeno in parte, la combattività sonora che ne aveva fin qui contraddistinto l’opera, in favore di una maggiore introspezione, alla quale si aggiunge, a livello testuale, un più consistente ricorso alla metafora, tralasciando gli slogan del passato. Un modo forse di scrollarsi di dosso le ingombranti etichette affibbiategli fin dagli esordi, prediligendo una dimensione più raccolta, tra melodie acustiche di stampo folk, e facendo proprio un idioma, quello inglese, solo sfiorato in passato. Risultato di questa trasformazione è appunto Giorni dell’Eden, un album, descritto dagli stessi autori, come poetico, aggettivo quanto mai calzante. Ad animare l’intero lavoro è la costante ricerca di “un proprio cielo”, lontano dalle brutture che funestano il mondo odierno, in un’ascesa verso aerei orizzonti che, in Portato dalle nuvole, trova nel violino di Andreas Petermann, un celeste traghettatore. Un guardare in alto verso sogni lontani che si scontra, tuttavia, in L’acrobata, con la paura di non farcela e di cadere sempre più in basso, pur permanendo nel cuore la speranza dell’avvento dei Giorni dell’Eden, invocati dalla stessa title track, nella quale troviamo alla sei corde elettrica nientemeno che Lenny Kaye, testimonianza di come il sodalizio con l’universo smithiano continui tutt’oggi. O come ribadito da Icarus, con ospite, alla voce, Violante Placido, dove la triste vicenda del personaggio mitologico viene riscritta, con un nuovo e moderno Icaro, le cui ali non vengono più bruciate dal sole, che può finalmente coronare i propri aneliti di libertà. Intrisa di malinconia è invece la pianistica Berlin Serenade, dedica ad una città, quella tedesca, molto amata, mentre particolarmente riuscito è il reprise di Just Breathe, dal songbook dei Pearl Jam, che Luca Lanzi rilegge in coppia con l’amico Francesco “Fry” Moneti, al mandolino, enfatizzandone ancor più, grazie ad uno scarno impianto strumentale, l’avvolgente melodia. Una ritinteggiatura, con acquerelli sonici dalle tinte pastello, che pare aver reso ancor più accogliente la Casa del Vento, uno dei pochi luoghi sicuri, ancora rimasti, nel quale trovar rifugio dalle intemperie, reali e metaforiche, in compagnia di vecchi amici, la cui musica non è forse mai stata così genuina e vitale.
subite e voglia di riscatto. Messaggi di grande valenza sociale quindi, quelli contenuti nelle loro canzoni, che hanno trovato un ideale veicolo sonoro in quel combat folk, che fin dagli esordi ha contraddistinto la proposta sonora del combo aretino. Abituati in passato a muoversi nella “parte scura” del mercato discografico, lontani dai riflettori dei media, i nostri sono recentemente balzati agli onori delle cronache musicali, grazie ad una collaborazione con la “poetessa del rock”, quella Patti Smith che li ha fortemente voluti al proprio fianco in ben due brani del suo recente album,

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