martedì 11 giugno 2013

Dead Man Watching - Love, come on!

(Pubblicato su Extra! Music Magazine)

Belleville, Illinois, o Raleigh, Carolina del Nord, piccoli, e per molti insignificanti, nomi nella sterminata immensità del territorio statunitense, eppure, nei primi anni Novanta, epicentro di una rivoluzione musicale, denominata Alternative country, capace di irradiare la propria influenza dalla remota Levelland verso i quattro punti cardinali, travalicando confini temporali oltre che fisici. E proprio all’operato di questi pioneristici beautiful losers, spesso scomparsi, troppo presto, tra le asfissianti maglie del mercato discografico, sembrano guardare i Dead Man Watching, trio veronese, formatosi nel 2007, con all’attivo già due EP, ed oggi al suo debutto sulla lunga distanza. Si perché questo Love, Come On! più che in uno studio veneto parrebbe aver avuto la propria genesi in qualche sperduta sala d’incisione a stelle e strisce, meta di giovanotti dalle belle speranze con una chitarra a tracolla e un foglio di liriche in mano, in cerca dell’ultima, ed unica, occasione per abbandonare definitivamente un’ordinaria ed angusta vita provinciale. Un album nel quale vengono convogliate, per fondersi infine in un’intrigante amalgama sonoro, le diverse personalità dei tre “titolari” del progetto, a cominciare dalla penna, tra slowcore e indie folk di John Mario, passando per il polistrumentismo sixties oriented dello sperimentatore sonico Gio, per giungere infine al substrato ritmico a cura di Astor Cazzolla, batterista open minded nonché ideale collante percussivo. Frutto di questa fatica compositiva “partecipata” è un impasto musicale che trae la propria linfa vitale tanto da polverose ‘rural route’, quanto da melodie westcoastiane provenienti dalla calda California, filtrando il tutto con introspezione avant folk e la lentezza dello slowcore. E proprio quest’ultima pervade tanto Red Balloon, meravigliosa nel suo lento e sognante svolgersi, tra umorali riff delle sei corde elettriche ed evocative armonizzazioni vocali; quanto le derive sperimentali di Here The Night Comes, esempio migliore, in coppia con l’iniziale In The Badlands, del riuscito connubio tra le differenti personalità dei tre musicisti veronesi. L’arrembante appeal di una Jesus Christ Wannabe, che evoca, complice un liquido organo, sonorità smaccatamente sixties, sposta invece il baricentro verso un folk, di solare impronta californiana, che ritroviamo, seppur nella sua accezione avant, tanto nella brumosa Bad Teen Movie, tutta giocata sul picking leggero della chitarra acustica, enfatizzato dagli inserti cameristici del violoncello di Andrea Marcolin e del violino di Erica Marson, quanto nella pacatezza sonica della sussurrata August Burns. Ci spostiamo invece dalle parti di Raleigh, con Give It A Sound, debitrice, vuoi anche per la presenza della pedal steel di Carlo Poddighe, nei confronti dei Whiskeytown di un ancora imberbe Ryan Adams. Sonorità quest’ultime che fanno capolino anche in Bite, tra classici stilemi country e sbuffi modernisti, tra i Flying Burrito Brothers parsoniani e gli Uncle Tupelo più “tradizionalisti” (quelli di March 16-20, 1992 per intenderci). La title track chiude infine come un’esile soffio di vento, simile a quello che “divide” i soffioni in copertina, un esordio di ottima fattura, opera di un combo che ha un solo difetto, vivere dalla parte sbagliata dell’Oceano.

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