mercoledì 26 giugno 2013

Andrea Schroeder - Blackbird

(Pubblicato su Extra! Music Magazine)

“Blackbird singing in the dead of night“ cantavano quattro ragazzi di Liverpool nel loro “album bianco”, ispirandosi idealmente alle lotte del Movimento per i Diritti Civili americano; un canto, quello del merlo, realmente tra i più melodiosi all’interno del mondo degli uccelli, al quale Andrea Schroeder dedica il proprio debutto discografico, Blackbird. Esordio con alla base un processo compositivo alquanto particolare, come spiega la stessa Schroeder: “Molte delle canzoni sono nate da poemi, le melodie sono scaturite conseguentemente, in un’organica fusione con il lento fluire delle parole”. Nasce infatti artisticamente come poetessa la giovane tedesca, prima di dedicarsi, grazie all’incontro con il chitarrista danese Jesper Lehmkuhl, alla carriera musicale. Un percorso analogo a quello di un’altra “collega”, quella Patti Smith, con la quale la Schroeder mostra più di una similitudine anche a livello vocale. Sembra di vederli i due, novelli Smith e Kaye, nella loro piccola stanza nel Berlin Wedding, quartiere operaio della capitale tedesca, a centellinare note e melodie attorno ad ogni singola sillaba, nel tentativo di creare un tessuto lirico musicale dalla palpabile intensità emotiva. Un album, Blackbird, nero e scuro come il piumaggio del pennuto al quale è dedicato, in bilico tra livore malinconico e ipnotica sensualità, acuite dal lavoro in cabina di regia ad opera di Chris Eckman. La mano del leader dei Walkabouts è infatti ben avvertibile tra i solchi del lavoro, sia a livello d’invisibilità produttiva, soprattutto in un certosino lavoro di arrangiamento degli archi, quanto di attivo apporto strumentale, dividendosi in egual misura tra chitarra elettrica ed organo. Un tessuto sonico che fa tuttavia del minimalismo, di seppur struggente funzionalità, la propria forza, dove ad emergere è la voce della Schroeder sui chiaroscuri sonici dipinti dalla chitarra di Lehmkuhl. L’influenza smithiana come detto poc’anzi è quanto mai evidente, soprattutto in brani come l’opener Paint It Blue, in un’indolente crescendo emozionale, a tratti quasi operistico, quanto nelle vampate elettriche del serrato incedere di Bebop Blues, le cui liriche sono state estrapolate dal quasi omonimo poema, “Buffalo Bebop Blues” di Charles Plymell. Con la recitativa Wrap Me In Your Arms e la plumbea e spettrale Ghost Ship ci si addentra invece in territori cari al Nick Cave più intimista, in un dark crooning dall’insinuante malia. Oscurità che si dirada, perlomeno a livello sonoro, in Death Is Waiting, placida slow country ballad elettroacustica, prima di ritornare nell’ombra con la title track, notturna dedica al merlo stesso, dove l’evocativo canto della Schroeder è sostenuto da esili e crepuscolari partiture soniche per soli chitarra acustica, contrabbasso e violoncello. Chiude il disco una marziale Kalte, unico episodio in cui la cantante ricorre al proprio idioma natio, in un immaginifico quanto funereo incontro tra le anime di Marlene Dietrich e di Nico.
Un’opera prima di sorprendente maturità, Blackbird, che mostra un’artista ben conscia tanto dei propri mezzi, quanto della strada sonica intrapresa. Percorso che, se non subirà improvvise deviazioni, non potrà che portare in futuro ad altri capitoli musicali di siffatta bellezza.

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