giovedì 7 giugno 2012

Mandrake - Zarastro

(Pubblicato su Extra! Music Magazine)


Alzi la mano chi si ricorda di Mandrake, leggendario personaggio dei fumetti che fece la sua comparsa, su carta stampata, agli inizi degli anni ’30. E’ proprio al mago, partorito dalla fervida penna di Lee Falk, che si rifà infatti l’omonimo combo livornese per la scelta del proprio monicker. Scelta quanto mai azzeccata, visto che il quintetto capitanato da Giorgio Mannucci si diletta in veri e propri giochi di prestigio, in questo caso sonori, estraendo tuttavia dal proprio cilindro non il canonico coniglio ma bensì una creatura musicale di ben più strane fattezze. Creatura che deve i propri natali alle fervide terre albioniche, delle quali ha inglobato, all’interno del proprio Dna, arcaici geni folk, reminescenze classiche e diramazioni di stampo indie pop. Per farvi un’idea del sound approntato dai nostri immaginate di trovarvi di fronte a degli imberbi Starsailor, quelli di Love Is Here per intenderci, in ritiro spirituale nella verde e natia contea del Lancashire, intenti a dilettarsi con gli stilemi sonori precedentemente menzionati. Dal gruppo di James Walsh, i livornesi prendono infatti spunto per graffianti riff in puro stile british, smussandone le asperità con bucoliche venature folkie e intarsi quasi barocchi. Se l’iniziale I’m So Confused Part I pare uscita da lisergici esperimenti beatleasiani, tra acidi intrecci vocali e un lieve abbozzo strumentale in sottofondo, la quasi omonima I’m So Confused Part II, si dipana intorno alla voce e alla chitarra acustica di Mannucci, alle quali si aggiungono in un ipnotico crescendo musicale il violino di Asita Fathi e il flauto dell’ospite Tiziana Gallo. Sulla medesima scia si muove Time che, tra ondeggiamenti ritmici, nuove radiose intuizioni melodiche e complici il contributo vocale di Marta Bardi e il mandolino di Cristiano Tortoli, non sfigurerebbe tra i solchi di un album a marchio Johnny Flynn, uno dei massimi esponenti del new folk inglese. Formula quella scelta dai nostri che si rivela indubbiamente vincente, come ben traspare da brani quali la ballata dalle tinte pastello Nothing Is Predictable, o la conclusiva Soft Temple, dove è nuovamente la chitarra acustica a condurre le danze, ideale fulcro sonico intorno al quale volteggiano leggeri gli altri strumenti. Nei pentagrammi del quintetto trovano spazio anche influenze caraibiche, radicate in You’re Not Here e nella solare Uncertain Moment, dove sono prima l’ukulele, affidato allo stesso Mannucci, e poi la tromba di Mauro La Mancusa a creare un immaginifico ponte verso lontane terre tropicali.
Se i livornesi dimostrano di essere a proprio agio in oniriche digressioni musicali, non si tirano certo indietro quando si tratta di effettuare incursioni in territori pregni di elettricità, come nella vigorosa The Evil Meeting o nei rimandi calexichiani di Neighbours, dove la quiete della campagna inglese viene sferzata dall’impetuosità del desertico vento dell’Arizona. Un esordio, Zarastro, intriso di vera e propria magia con la quale i Mandrake riusciranno ad ipnotizzare più di un ascoltatore. Venghino siori, venghino, non c’è trucco, non c’è inganno, solo splendida musica.


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