venerdì 20 aprile 2012

Dr John - Locked down

(Pubblicato su Extra! Music Magazine)

Mac Rebennack non delude mai. Partendo da questo presupposto devo comunque ammettere che non avevo accolto con gioia la notizia della partecipazione al disco, in veste di produttore, di Dan Auerbach. Sia ben chiaro, massimo rispetto per la mente dei Black Keys, ma visti i suonacci che caratterizzavano, a mio avviso, proprio l’opera più recente del duo di Akron la mia paura era che questi ultimi potessero andare ad inficiare la qualità della musica del “Dottore”. Una prima sorpresa è stata quindi ascoltare come il buon Auerbach abbia saputo attualizzare il suono rebennackiano senza snaturalizzarne troppo i tratti distintivi e al tempo stesso, e qui fortunatamente si sente la mancanza della sciagurata mano di Danger Mouse, senza ricorrere a tronfie sonorità mainstream. La parte del leone la recita comunque il vecchio Dr John, optando per un’ulteriore trasformazione sonora, rispetto al precedente Tribal, in quello che può essere visto come un vero e proprio ritorno alle origini. Sembra infatti di essere tornati alla fine degli anni ’60 quando il nostro uscì dalle fangose acque del bayou per dare alle stampe due dischi, Gris Gris e Babylon, intrisi degli umori musicali della sua Louisiana, tra alligatori, riti voodoo e deliranti divagazioni psichedeliche. Album che vengono richiamati alla mente fin dalla copertina, mostrante il nostro agghindato come ai bei vecchi tempi quando era universalmente conosciuto come “The Night Tripper”. Esempi sonori di questo ritorno alle origini sono senza dubbio la title track, dalle robuste iniezioni funk, che si apre tra stridori e urla animalesche, oppure la salmodiante Eleggua, puro Big Easy Sound, in un continuo rincorrersi di voci e suoni. Uno dei meriti di Auerbach è sicuramente quello di aver coinvolto nelle registrazioni un gruppo di musicisti solido e rodato, puntando in particolar modo su di un costante e insistito uso di un groove funk dal sapore modernista, che ben si confà alle atmosfere sonore volute dal “Dottore”, portando alla creazione di un suono in bilico tra passato e futuro, tra la primitività dei ritmi del bayou e il beat tecnologico del rock odierno. Quello che ne fuoriesce sono canzoni dall’appeal sonoro immediato, grazie anche al loro avvolgente incedere, come Revolution, sinuoso blues venato di funk dai marcati rimandi blackkeysiani, oppure la vorticosa Getaway, che sfocia in un assolo finale di stampo hendrixiano, ad opera della chitarra dello stesso Auerbach. Lavoro ritmico che trova la sua ideale valvola di sfogo in brani come la sincopata Kingdom Of Izzness o negli ipnotici echi tribali di Ice Age. C’è spazio anche per il blues, nell’accezione bastarda del termine in You Lie con ancora una metronomica sezione ritmica sugli scudi, o quello dalle radici neworleansiane nella suadente Big Shot. Esula in parte dal contesto sonoro generale la struggente melodia soul di My Children, My Angels, mentre la conclusiva ed incalzante God’s Sure Good affonda le sue radici nel gospel, con le voci delle McCrary Sisters ad impreziosire il tutto. Quello che tuttavia appare chiaro dall’ascolto dell’album è come la vitalità compositiva ed esecutiva di Dr John non si sia minimamente affievolita, tutt’altro, mostrandoci al contempo un musicista con ancora una grande voglia di osare e di mettersi in gioco. Se siete in crisi d’astinenza da buona musica, la cura è una sola; forti dosi di Locked Down, parola di “Dottore”.

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