(Pubblicato su
Extra! Music Magazine)

Vi
sono emozioni così intense e profonde da non riuscire a manifestarsi
immediatamente, avendo bisogno di essere lasciate fermentare per poi esplodere
in seguito in tutta la loro interezza. Ed è pertanto solo a mente fresca che si
viene assaliti dall’esaltazione di quella che è stata e sarà una delle serate
musicali da ricordare in questo, seppur agli inizi, 2012. Scenario
dell’esibizione un
Alcatraz stipato all’inverosimile, protagonista della
serata quella complessa ma stupenda creatura musicale chiamata Wilco. La
band di Chicago, nella prima delle sue due date italiane, è salita letteralmente
in cattedra mostrando, a una platea di attenti “allievi”, come deve suonare dal
vivo oggi una rock band. Definizione quest’ultima che tuttavia appare riduttiva
nello descrivere quanto visto e sentito sul palco nel corso della serata. Il
rock è stato infatti solo il punto di partenza, un ideale trampolino di lancio
verso un caleidoscopico viaggio all’interno delle numerose anime sonore delle
quali si compone la musica dei nostri. Sfaccettature che la band ha saputo
mettere in mostra nella loro totalità, approntando per l’occasione una scaletta
capace di pescare all’interno di una discografia diventata ormai più che
corposa. Un concerto totale, che ha catapultato il pubblico in un continuo e
frenetico cambio di atmosfere e generi musicali, tra chitarre elettriche ed
acustiche, sintetizzatori, tastiere e percussioni. Tuttavia è doveroso
menzionare anche Scarlett O’Hanna; una sorta di Regina Spektor meno
freak, quando siede al piano e una Laura Veirs dalle forti tinte indie
rock quando imbraccia la chitarra elettrica, che con un breve quanto intenso
set ha aperto la serata, guadagnandosi gli applausi dei presenti.
La vera attrazione sono e rimangono comunque i Wilco. Accolti da
un autentico boato al loro ingresso sul palco, i nostri non deludono le attese
dei propri fan, ripescando alcune piccole chicche, per quella che alla fine si
rivelerà una delle migliori scalette degli ultimi anni. Ventisei brani per più
di due ore di concerto, senza cali né le ben che minime sbavature, ad ulteriore
testimonianza di come la “macchina live”
wilconiana viaggi ormai a pieno
regime. Merito senza dubbio di un manipolo di musicisti superlativi ed in
perfetta sincronia tra loro, guidati con maestria da un’insolitamente affabile e
loquace Jeff Tweedy. Glenn Kotche pare una piovra dietro ai
tamburi, costantemente impegnato in un
drumming tanto vario quanto
preciso, che si incastra alla perfezione con il basso di John Stirratt,
autentico motore pulsante della band. Nels Cline è al solito invasato, e
sembra ingaggiare una lotta all’ultimo accordo con il proprio strumento,
martoriato per tutta la durata del concerto. Mikael Jorgensen si
destreggia da par suo tra tastiere e sintetizzatori, ben coadiuvato da Pat
Sansone, autentico folletto anche alla sei corde. Dopo un inizio tra
l’onirico e il sognante con una sempre meravigliosa
Hell Is Chrome,
veniamo proiettati nella dimensione “modernista” della band di Chicago, con una
Art Of Almost in bilico tra squarci elettronici e tessiture quasi
ambient, con Nels Cline e Mikael Jorgensen impegnati a condurre i propri
compagni verso sperimentali derive sonore. Ad avere ovviamente maggior
risalto nell’economia del concerto sono i brani tratti dal recente
The Whole
Love, come nel caso dell’ariosità pop di I Might, Dawned On Me o
della bizzarra Capitol City, per arrivare alla purezza folkie di
Open Mind. Non sono mancate tuttavia piccole e grandi sorprese come una
superlativa Misunderstood (da Being There) con tutto il pubblico a
urlare quel ‘nothing’ reiterato all’infinito, diventato ormai celeberrimo,
oppure una Box Full Of Letters che riappare tra le nebbie di un passato
alternative country, forse non così lontano dopo tutto. Parte del leone
la recita anche A Ghost Is Born, dal quale vengono riproposte, tra le
altre, At Least That’s What You Said dal delirante finale, un’inedita
quanto pregevole versione acustica di Spiders (Kidsmoke) e quel piccolo
gioiello di Hummingbird. Posta a metà set Impossibile
Germany, risplende in tutta la sua maestosità, impreziosita dall’intervento
solista, da manuale, della chitarra elettrica di Nels Cline, capace di strappare
un’autentica ovazione. e il finale è affidato alla vorticosa A Shot
In The Arm, nei bis ad incantare sono le canzoni tratte da Yankee Hotel
Foxtrot, su tutte una rabbiosa I’m The Man Who Loves You, una sempre
coinvolgente Heavy Metal Drummer, per arrivare poi ad una corale
Jesus, Etc. da brividi. Concerto che si chiude in crescendo con la carica
rock’n’roll del medley Red-Eyed And Blue / I Got You (At The End Of The
Century) e Outtasite (Outta Mind), sempre da Being There, fino
all’apoteosi con la scalcinata ed irresistibile Hoodoo Voodoo, in omaggio
al grande Woody Guthrie, con tanto di divertente siparietto danzereccio del
tecnico delle chitarre, tra l’ilarità generale. I sei abbandonano infine la
scena tra applausi scroscianti. Sei talenti fuori dal comune, fusi
indissolubilmente tra loro in quello che è un magma sonoro capace sia di
annichilire con la propria lacerante furia elettrica, impregnata di
feedback, sia al contempo di incantare grazie a cristalline e fluttuanti
melodie. Questo sono oggi i Wilco, ed attualmente non esiste altra band
capace di eguagliarne la perfezione sonora. Concerto dell’anno?! La risposta del
sottoscritto è…SI'!!!
SET LIST
Hell Is Chrome
Art Of
Almost
I Might
Misunderstood
Bull Black Nova
At Least That's What
You Said
Spiders (Kidsmoke) (semi-acoustic version)
Impossible
Germany
Born Alone
Laminated Cat (Loose Fur cover)
Open
Mind
Hummingbird
Handshake Drugs
Box Full Of Letters
Capitol City
War On War
Dawned on Me
A Shot in the Arm
Encore:
Whole Love
I'm the Man Who Loves You
Jesus, Etc.
Theologians
Heavy Metal Drummer
Red-Eyed And Blue / I Got You (At The
End Of The Century)
Outtasite (Outta Mind)
Hoodoo Voodoo
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