martedì 7 agosto 2012

Giant Giant Sand - Tucson

(Pubblicato su Extra! Music Magazine)


L’afa insopportabile che attanaglia da giorni anche il solitamente ventilato paesino collinare dal quale il sottoscritto scrive, pare porre le giuste condizioni ambientali per immergersi nell’ascolto di Tucson, ultima opera discografica a nome Giant Sand, o per meglio dire Giant Giant Sand. Il desertico combo capitanato dall’eclettico Howe Gelb infatti non solo torna sulle scene raddoppiando la propria ragione sociale, ma al contempo da alle stampe quella che, dalle stesse note di copertina, viene definita come una “country rock opera”. Un progetto in cantiere da parecchio tempo ma che per essere portato a compimento necessitava dell’apporto di una nutrita schiera di ospiti, andati ad affiancare per l’occasione l’originario nucleo giantsandiano. Accanto al manipolo di musicisti danesi, che da qualche tempo accompagnano Gelb, troviamo infatti Lonna Kelley (in passato comunque già collaboratrice della band), la pedal steel di Maggie Bjorklund, i mariachi Brian Lopez, Gabriel Sullivan e Jon Villa, e ultimo ma non meno importante un nuovo innesto danese, una sezione d’archi proveniente da Aarhus. Innesti quest’ultimi quanto mai azzeccati, visto che quest’ancor più gigante “Gigante di sabbia”, è riuscito nel non facile intento di trasporre su pentagramma la storia sulla quale poggia l’intero lavoro. Tucson narra infatti le vicende di un uomo che, stanco di una vita senza prospettive, decide di lasciare i propri affetti e i propri beni terreni per intraprendere un viaggio alla ricerca di sé stesso tra Arizona e Messico, tra saloon, bordelli e prigioni. Una storia avvincente, che Gelb musica al meglio mettendo sul piatto quelle sonorità per le quali è universalmente riconosciuto. Proprio per questo “Tucson” può essere considerato una sorta di summa del suono giantsandiano, esplorato in questo frangente fin nei suoi più oscuri e nascosti meandri. Un lavoro che incanta fin dalla traccia d’apertura, Wind Blow Waltz, un sabbioso ed avvolgente valzer suonato in punta di dita. Se Forever And A Day, con il grido liberatorio “Good luck suckers, I’m on my way”, rappresenta per il protagonista della storia un taglio netto con il proprio passato, con la successiva Detained ci si addentra sempre più in sonorità di stampo mariachi, permeanti la quasi totalità dell’opera. Il country desertico di Lost Love è invece un acquerello elettroacustico di stupefacente bellezza, mentre in Plane Of Existence ad emergere è l’espressività dell’ugola gelbiana, ben contrappuntata da pedal steel, fiati e sezione d’archi. Undiscovered Country, così come Slag Heap, paiono strizzare l’occhio all’opera dei due ex pards Joey Burns e John Convertino, anche se in questo frangente a far nuovamente la differenza è la verve interpretativa di Gelb. Se invece vi siete mai chiesti cosa avrebbe suonato Johnny Cash dopo un soggiorno in territorio messicano, la risposta è Thing Like That, sentire per credere. Il contributo degli ospiti si fa poi ancor più tangibile prima in Love Comes Over You e poi in The Sun Belongs To You. La prima è un’onirica ballata, parto della mente di Brian Lopez impegnato anche al canto, mentre la seconda, tra reminescenze tex mex e sentori irish, è opera di Gilbert Sullivan. Si ritorna in terra messicana con la ritmata Carinito, prima di passare a quella che può essere considerata una piccola, quanto inattesa, gemma. Out Of The Blue faceva infatti parte della suite composta da Robbie Robertson per il seminale The Last Waltz. Forse è un brano poco conosciuto tra i tanti capolavori sfornati dalla leggendaria The Band, ma conserva tuttora la sua purezza sonora, qui ulteriormente accentuata dalla strepitosa rilettura a più voci fatta da Gelb e soci. Diciannove sono gli episodi sonori che compongono l’opera, ed ognuno di essi meriterebbe di essere menzionato, anche solo per il ruolo svolto nel creare un continuum narrativo sonoro, solido e al contempo intrigante. Un album praticamente perfetto Tucson, del quale si potrebbe dissertare per ore senza riuscire comunque a descriverne appieno la magnificenza. Se tuttavia fossi costretto a riassumere il tutto in poche e semplici parole, ne basterebbero solamente tre; Disco dell’anno!

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