martedì 24 luglio 2012

Gov't Mule - John Hiatt & the Combo @ Pistoia Blues

(Pubblicato su Rootshighway, foto di Elena Barusco)


Menù ricco di prelibatezze quello offerto dall'edizione di quest'anno del festival toscano. Se i Subsonica sono stati un bizzarro antipasto, Paolo Nutini un gustoso primo piatto e BB King un'ottima seconda portata, è con la pietanza conclusiva che gli organizzatori della rassegna pistoiese sembrano essersi sbizzarriti, combinando tra loro ingredienti sonori solo all'apparenza inconciliabili, ma capaci, una volta accostati, di creare un tanto ricco quanto prelibato dessert. Vuoi per la caratura degli artisti, vuoi per il fatto che per entrambi sarebbe stata l'unica data sull'italico suolo, ma l'accoppiata Gov't Mule eJohn Hiatt era un evento al quale ogni appassionato della buona musica non poteva mancare. Arrivato nel tardo pomeriggio nella piazza del Duomo, suggestivo scenario dei concerti, riesco ancora a godermi gli ultimi scampoli del set di Ty Le Blanc. Cantante di origine texana, dalla voce calda ed ammaliante, ha saputo conquistare il già nutrito pubblico presente grazie ad una perfomance di alto livello, complice anche una band formata da alcuni dei maggiori esponenti del blues italiano, tra i quali Nick Beccatini alla chitarra, Pippo Guarnera all'organo e il funambolico Vince Vallicelli alla batteria. L'attesa è ovviamente per i veri protagonisti della serata, e dopo un veloce cambio palco ecco finalmente Warren Haynes e soci salire sul palco, quasi in sordina. Una timidezza che scompare una volta imbracciati i propri strumenti, dando fuoco alle polveri con una torrenziale Blind man in the dark, con la chitarra di Haynes a traghettare i propri compagni verso vorticose digressioni strumentali. Un suono quello del combo americano che vira deciso verso torridi lidi pregni di elettricità, con la riproposizione di alcuni brani estratti dall'ultimo lavoro in studio, By a thread. Una robusta Steppin' lightly, con Danny Louis che abbandona l'organo per assistere Haynes alla seconda chitarra, e Broke down on the brazos, con Matt Abts intento a destreggiarsi tra maracas e bacchette, mostrano infatti il lato più selvaggio dei Muli, tra rifferama di matrice southern e una granitica sezione ritmica. Annichilito da cotanta furia sonica, accolgo quasi con sollievo Wine and blood, che con il suo afflato country oriented stempera in parte la tempesta elettrica creata fino a quel momento. Se Soulshine rimane la consueta perla sonora, a lasciare a bocca aperta, per lo meno il sottoscritto, è un ottimo reprise di The shape I'm in dell'inarrivabile e mai dimenticata The Band, che i Muli rileggono con deciso piglio funk rock. L'emozione è davvero tanta e una lacrimuccia non può non scendere pensando alla recente scomparsa del leggendario Levon Helm. Le sorprese tuttavia non sono finite e poco dopo le sinuose note di Beautifully broken avvolgono la piazza, stregando ulteriormente il già estasiato pubblico. Haynes e soci concedono anche due brani inediti, che andranno a comporre il loro nuovo lavoro in studio, in lavorazione proprio in questi mesi. La prima, World boss, una tirata composizione in odore di southern rock, è in linea con gli ultimi lavori della band, mentre la seconda Captured, è una liquida ballata dalle reminescenze floydiane, e mi ha ricordato le atmosfere sonore che erano alla base di Deja Voodoo. Chiudono il concerto una poderosa Game face, dal seminale Dose e una struggente Forevermore, con Haynes particolarmente ispirato al canto. Il pubblico rumoreggia e i nostri tornano sul palco per regalare una No quarter di zeppeliniana memoria, prima di lasciare il posto all'altro protagonista della serata.

Tempo dell'ennesimo, ma questa volta meno fulmineo, cambio palco, e tutto è pronto infatti per il concerto di John Hiatt, accompagnato dal suo fido Combo. Band rodata quest'ultima e di grande esperienza, annoverante tra le proprie fila Doug Lancio, chitarra e mandolino, Nathan Gehri, basso, e Kenneth Blevins, batteria, ai quali si aggiunge alle armonie vocali Brandon Young (anche tecnico delle chitarre). Ero davvero curioso di assistere a un concerto elettrico del buon Hiatt, dopo averlo visto in acustico qualche anno fa insieme all'amico Lyle Lovett, e devo dire che ogni mia più rosea aspettativa è stata ampiamente superata. Il cantore dell'Indiana è un vecchio leone, sa cosa vuole il suo pubblico, e soprattutto come si sta su di un palco, e quello pistoiese sarà un concerto praticamente perfetto per scelta dei brani, intensità ed empatia con gli astanti. Se Master of disaster, posta in apertura, è per il sottoscritto una gradita sorpresa, è con Tennessee plates, che si comincia a intuire quale sarà il tenore della serata. Con un songbook come quello del nostro non si può che approntare una scaletta da cardiopalma, e così sarà stasera, con i fan che vedranno sciorinare dei veri e propri pezzi da novanta quali Cry love, Feels like rain e Perfectly good guitar, punti inamovibili delle recenti scalette hiattiane. Lo stesso Warren Haynes, apparso all'improvviso a lato del palco, sorride soddisfatto. C'è spazio anche per il nuovo lavoro, Dirty Jeans and Mudslide Hymns, dal quale vengono estratte la notturna Down around my place, dal retrogusto roots rock, e la countrieggiante Adios to California, mentre la polverosa Dust down a country road si mantiene sulla medesima scia e vede Lancio impegnato al mandolino. Strumento quest'ultimo che assurge a vero e proprio protagonista in Crossing muddy waters, uno di quei brani che da soli valgono il prezzo del biglietto e i chilometri percorsi per essere qui stasera. E' in forma Hiatt, si diverte a suonare e scherza con il pubblico, da gigionesco animale da palcoscenico qual è. Pubblico che tiene in pugno fin dalla prima canzone e che si diverte a coccolare prima con una Drive south di rara bellezza e poi con una Thing called love, accolta da applausi scroscianti. L'apice della serata si raggiunge tuttavia con una Memphis in the meantime da manuale, con la band che gira a mille e sulla quale il nostro coinvolge il pubblico in uno spassoso esercizio canoro. La chiusura poi è da fuochi d'artificio con una debordante Riding with the king, tesa ed elettrica, con le chitarre di Hiatt e Lancio impegnate in un duello all'ultima nota. Due concerti molto diversi tra loro ma capaci entrambi di incantare e regalare intense emozioni, in quella che è stata una serata che rimarrà a lungo impressa nella memoria.

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