martedì 22 maggio 2012

Traffic Lights Orchestra - Verde yellow rouge

(Pubblicato su Extra! Music Magazine)

Genesi alquanto inusuale quella della Traffic Lights Orchestra, formatasi essenzialmente per musicare il quasi omonimo film noir indipendente Traffic lights story, pellicola quest’ultima che tuttavia riposa, con la relativa colonna sonora, in qualche polveroso cassetto. La bizzarra orchestra, perché è definibile quantomeno bizzarro un ensemble che affida la propria pulsione ritmica a campane, padelle, cerchioni d’auto e altri inconsueti ammennicoli percussivi, decide tuttavia di continuare la propria strada musicale e, dopo un omonimo EP, arriva al suo primo vero album. Un lavoro dalle molteplici sfaccettature quello approntato dai nostri, come peraltro enunciato platealmente dal titolo, Verde Yellow Rouge, che oltre a chiari rimandi “semaforici” è ben riassuntivo dei tre idiomi linguistici con i quali la band si destreggia con maestria. Italiano, inglese e francese riescono infatti a coesistere all’interno di un album che profuma d’internazionalità, a prescindere dalla lingua utilizzata, grazie soprattutto ad una formula che non si pone a priori limiti sonori attingendo alle più svariate influenze e dettami melodici. Two Times, posta in apertura, è un ottimo esempio della bontà della proposta musicale del combo, sorta di moderno gospel sulle riflessioni di un suicida, nel quale compaiono echi dei Black Rebel Motorcycle Club, quelli del capolavoro “Howl” per intenderci, virati in chiave bluesy. Influenze blues per l’appunto, ma anche rimandi jazzy, barlumi noise pop e reminescenze folk rock compongono la nervatura del lavoro, articolato in undici brani pregni di fascino e suggestione. Devil, liberamente ispirata al “Vangelo secondo Gesù” di Saramago, unisce sacro e profano, Mark Lanegan e inflessioni country mentre il noise rock di Cigarette, è pervaso da fumose atmosfere noir. Ad emergere è l’approccio musicale dei nostri, tipicamente waitsiano, sia per scelte ritmiche che per architetture sonore. L’influenza di ‘Mastro’ Waits è evidente in brani come Le Tue Scarpe, struggente riflessione di un soldato caduto nella guerra dei Balcani, oppure nell’incedere ritmico di Italy Dogs, dedicata agli immigrati di Rosarno, ed ispirata da un cartello esposto dagli stessi, “Italy dogs valued more than black”, durante la loro rivolta contro il moderno ed aberrante sistema “schiavista” purtroppo ancor oggi imperante in molte zone agricole italiane. La pianistica Gazza Ladra è dal canto suo una macabra filastrocca di stampo caposseliano, che dimostra una volta di più come il gruppo abbia scelto con cura i propri numi tutelari. Non mancano tuttavia sonorità “canonicamente” rock, come nella malinconica ballata Last Season, impreziosita dal violino oppure come in First Coffee, in bilico tra squarci elettrici e ariose melodie pop. Chiude il disco una piccola sinfonia in tre parti, Le Dictateur, in memoria di coloro che in quel triste 11 settembre del 1973 conobbero in prima persona l’orrore del golpe e le successive nefandezze del regime di Pinochet, dittatore la cui morte venne festeggiata in piazza dal popolo cileno. Che dire di più? Tanto di cappello per un gruppo esordiente che ha saputo dare alle stampe un album, oltretutto autoprodotto, d’indubbio pregio e valore artistico.


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