(Pubblicato su Extra! Music Magazine)
Genesi alquanto inusuale quella della Traffic Lights Orchestra, formatasi
essenzialmente per musicare il quasi omonimo film noir indipendente Traffic
lights story, pellicola quest’ultima che tuttavia riposa, con la relativa
colonna sonora, in qualche polveroso cassetto. La bizzarra orchestra, perché è
definibile quantomeno bizzarro un ensemble che affida la propria pulsione
ritmica a campane, padelle, cerchioni d’auto e altri inconsueti ammennicoli
percussivi, decide tuttavia di continuare la propria strada musicale e, dopo un
omonimo EP, arriva al suo primo vero album. Un lavoro dalle molteplici sfaccettature quello approntato dai nostri, come
peraltro enunciato platealmente dal titolo, Verde Yellow Rouge, che oltre a chiari rimandi “semaforici” è
ben riassuntivo dei tre idiomi linguistici con i quali la band si destreggia
con maestria. Italiano, inglese e francese riescono infatti a coesistere
all’interno di un album che profuma d’internazionalità, a prescindere dalla
lingua utilizzata, grazie soprattutto ad una formula che non si pone a priori
limiti sonori attingendo alle più svariate influenze e dettami melodici. Two
Times, posta in apertura, è un ottimo esempio della bontà della proposta
musicale del combo, sorta di moderno gospel sulle riflessioni di un suicida,
nel quale compaiono echi dei Black Rebel Motorcycle Club, quelli del capolavoro
“Howl” per intenderci, virati in chiave bluesy. Influenze blues per l’appunto,
ma anche rimandi jazzy, barlumi noise pop e reminescenze folk rock compongono
la nervatura del lavoro, articolato in undici brani pregni di fascino e
suggestione. Devil, liberamente ispirata al “Vangelo secondo Gesù” di
Saramago, unisce sacro e profano, Mark Lanegan e inflessioni country mentre il
noise rock di Cigarette, è pervaso da fumose atmosfere noir. Ad emergere
è l’approccio musicale dei nostri, tipicamente waitsiano, sia per scelte
ritmiche che per architetture sonore. L’influenza di ‘Mastro’ Waits è evidente in brani come Le Tue Scarpe,
struggente riflessione di un soldato caduto nella guerra dei Balcani, oppure
nell’incedere ritmico di Italy Dogs, dedicata agli immigrati di Rosarno,
ed ispirata da un cartello esposto dagli stessi, “Italy dogs valued more than
black”, durante la loro rivolta contro il moderno ed aberrante sistema
“schiavista” purtroppo ancor oggi imperante in molte zone agricole italiane. La
pianistica Gazza Ladra è dal canto suo una macabra filastrocca di stampo
caposseliano, che dimostra una volta di più come il gruppo abbia scelto con
cura i propri numi tutelari. Non mancano tuttavia sonorità “canonicamente”
rock, come nella malinconica ballata Last Season, impreziosita dal
violino oppure come in First Coffee, in bilico tra squarci elettrici e
ariose melodie pop. Chiude il disco una piccola sinfonia in tre parti, Le Dictateur, in
memoria di coloro che in quel triste 11 settembre del 1973 conobbero in prima
persona l’orrore del golpe e le successive nefandezze del regime di Pinochet,
dittatore la cui morte venne festeggiata in piazza dal popolo cileno. Che dire
di più? Tanto di cappello per un gruppo esordiente che ha saputo dare alle
stampe un album, oltretutto autoprodotto, d’indubbio pregio e valore artistico.
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